Di chi è la colpa se i film in quest’autunno non incassano?

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colpa-delle-stelle-557x262-sollazzoNon si incassa. E’ un fatto, la stagione cinematografica ricomincia e la voragine al box office è clamorosa. Si parte male e tranne Colpa delle stelle – film bellissimo e peraltro sostenuto alla grande da un clamoroso passaparola mondiale -, le Tartarughe Ninja e un Fratelli unici che non va male, tra i “grandi”, c’è ben poco. E tra i piccoli, alcuni come Anime nere e Perez tengono botta con una buona media copia, ma il risultato complessivo, va ammesso, sottolinea un netto calo del mercato intero. Perché?

Al di là delle difficoltà strutturali e congiunturali, infatti, ci sono delle motivazioni dipendenti dall’ottusità di un sistema, di una filiera che non funziona. E che trova nella distribuzione, paurosa e conservativa, il suo anello debole. Distribuzione che ormai lavora sempre meno e peggio, ma intasca un 18% medio sui guadagni complessivi di un film senza che voglia, possa, riesca neanche a meritarlo. Le produzioni spesso sono costrette a sottostare a condizioni capestro perché i loro film escano in sala, gli esercenti dalle major che danno loro i blockbuster devono accettare anche pacchetti avvelenati di altre opere sicuramente in perdita, che sono in carico nei listini dei colossi, soprattutto americani.

Ma, in fondo, questo fa parte di un’industria viziata da un oligopolio ormai divenuto monopolio se pensiamo al cinema italiano. A suo modo, nell’assurdo mercato italiano, parliamo di un problema strutturale.
Quello che è più grave, però, è che anche nelle scelte ancora libere da legacci di percentuali da usura o da imposizioni dall’alto, si fallisce su tutta la linea. Ecco che nell’allarme rosso degli incassi di queste settimane, le colpe le troviamo non solo nella mancanza di coraggio ma anche di chi decide le strategie di diffusione del cinema e di chi lo fa.

In quest’ultimo caso, ad esempio, possiamo parlare di una drammatica tendenza a ripetere successi passati, sbiadendoli e svilendoli. E facendo in modo che in questo crollo vengano coinvolti anche bravi professionisti. Prendiamo, per esempio, la realtà di un’opera come Fratelli unici. Un bravo regista come Alessio Maria Federici e poi il trio Bova-Argentero-Crescentini. Il plot è gradevole, gli interpreti hanno talento, sono bravi e anche molto belli. Ma cosa c’è di nuovo? Ben poco, sia nel modo in cui vengono visti quei volti, sia nel modo in cui il melodramma sentimentale è scritto, che, persino, nelle dinamiche interpersonali dei personaggi. Si cerca di usare facce capaci di attrarre pubblico, senza rischiare su volti nuovi o almeno su interpreti di nome in ruoli diversi dal solito. Si ragiona su schemi consumati, cercando il sorriso, la tenerezza, il buonismo. A buonissimo mercato. Si rifa sempre lo stesso film e se le professionalità sono adeguate, come in questo caso, riesci a fare anche un risultato discreto. Ma senza riuscire mai ad allargare il mercato, semplicemente pescando tra gli habituée, tra quelli che se andassero a teatro, si abbonerebbero allo Stabile rassicurante e noioso che replica sempre gli stessi spettacoli, al massimo cambiando compagnie. Una strategia che ha reso sterile il palco e che farà lo stesso con lo schermo.

Ma non basta, perché il problema è sempre su chi, in fondo, chiede questi prodotti. E su chi ormai intossica i fine settimana di titoli scarsi per qualità ma invadenti per quantità. Su chi, il mondo della distribuzione appunto, non si rende conto che i lungometraggi che hanno avuto successo nelle ultime settimane (da Il pianeta delle scimmie al già citato Colpa delle stelle) hanno avuto la possibilità, complice l’estate, di avere una tenitura decente e una concorrenza non drogata. Qui non si rispettano neanche i target: ma davvero un appassionato di cinema, in tempi di crisi, dovrebbe trovare il modo di vedere Maresco, Munzi e Guzzanti in meno di un mese? Tutti e tre parlano di mafia. Se poi parliamo di film italiani, o di commedie, o anche di horror ci rendiamo conto che anche l’analista meno dotato capirebbe che si satura il mercato con lavori di mediocre fattura, soffocando quelli migliori (Anime nere, per esempio: un capolavoro di cui molti, per questa folla di concorrenti, non hanno sentito parlare, magari). C’è chi prova a lavorare con più logica (si pensi a Microcinema, ad esempio) ma che rischia di venire cannibalizzato, per le sue dimensioni ridotte.

Il cinema è in crisi, ma il giovedì ti trovi con almeno una dozzina di titoli nuovi in uscita che soppiantano opere che avrebbero solo bisogno di tempo per crescere, consolidarsi, farsi scoprire. E il 70% di questi nuovi arrivati arriveranno a stento al lunedì successivo.
Chissà, forse vale la pena pensare ad altro. Cercare vie alternative, più indipendenti, meno schiave di un sistema davvero imbarazzante per inefficienza e miopia. Così non si può andare avanti: a parlare di pirateria, di “finestre” per home video e affini, di finanziamenti pubblici. Il futuro è qui, ma il cinema rimane in un passato pigro, indolente, abitudinario.