Umani a Milano conquista l’Expo 2015

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Mappare una città attraverso i ritratti fotografici di chi la abita

di Valentina Furri Tedeschi

 

Una foto e un breve virgolettato: c’è la ragazza che finita l’università non sa se andare a Toronto o a Trani. Quella che indossa la maglietta del Milan ma allo stadio non c’è mai andata. C’è la visual merchandiser, naturalmente. E non può mancare la piroetta fatale sui testicoli del toro in Galleria. Umani a Milano (umaniamilano.tumblr.com) è il progetto fotografico di Stefano D’Andrea che raccoglie e racconta, storie di milanesi incontrati per strada. Il fascino narrativo della normalità.

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“Ho novant’anni e vado a raccogliere le pentole che la gente butta. Poi le rivendo. A volte ci faccio anche cinque o sei euro. Raccontatelo questo. Poi ho anche un orticello in riva al Lambro. Comunque non ho novant’anni veramente, ne ho ottantotto.”

Prendendo ispirazione dal progetto www.humansofnewyork.com di Brandon Santon, da maggio 2013 Stefano accompagna ad ogni ritratto pubblicato una didascalia che racconta qualcosa della persona fotografata, un pensiero o uno scambio rapido di battute. Anche se, come dice Stefano, l’approccio con un oceano di mezzo cambia perchè «le persone che vivono a NYC sono molto più disposte al contatto rispetto ai milanesi».

Anche le storie raccontate nelle didascalie sono sempre interessanti: spesso sono domande che Stefano rivolge alle persone, nulla è inventato, «i virgolettati sono sempre dialoghi (o brani di dialoghi) reali» racconta l’autore.

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“Mi chiamo Mohamed, sono un rifugiato politico. Sono scappato dall’Afghanistan. Lavoro qui per sei mesi, mi manda il Comune; imparo un mestiere. 35 ore alla settimana. Ho 23 anni.”

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Proprio in questi giorni il fotografo ha ricevuto la conferma ufficiale da parte del Comune di Milano per esporre i             ritratti di Umani a Milano, o UAM, in un importante spazio pedonale (luogo ancora segreto), prima, durante e                  dopo l’Expo 2015.

Più visibilità e più responsabilità quindi. Stefano ha già pensato di strutturare il suo lavoro creando un’associazione culturale che lo regoli. Lo scopo è quello di fare in modo che Umani a Milano continui nel tempo, e che le persone che hanno voglia di aiutarlo a crescere possano farlo con ordine e competenza. «Umani a Milano ha alcune spese (soprattutto per le mostre che organizzo) – racconta l’autore – chi vuole può fare una donazione che ne supporti il lavoro».

Il supporto, oltre che al progetto milanese, può essere indirizzato anche all’idea in senso globale. Sostenere UAM, o Humans of New York, significa sostenere un nuovo modo di fare reportage. Sono tante le persone che, una volta conosciuto il progetto, lo vogliono portare nella propria città. Ognuno può ripetere l’esperimento nel luogo in cui vive perché come spiega Stefano: «Non esistono diritti d’autore dei nuovi linguaggi, è come quando hanno inventato il cinema, chiunque può fare film, basta cercare il farlo il meglio possibile». E buona fortuna!

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Lessi tempo fa un’intervista illuminante fatta a un ladro di biciclette che suggeriva ai ciclisti dei trucchi per rendere difficile il suo stesso compito. Uno era questo. Ieri l’ho visto e ho deciso di immortalarlo con la complicità di una brava fotografa e cara amica, oggi ospite di Umani a Milano: Wanda Perrone Capano.
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L’Africa.
“La vostra ultima sfiga?” “Io ho fatto due biglietti di andata invece che andata e ritorno e così mi sono bruciato tutti i soldi che mi erano rimasti sul conto.” “A me invece hanno appena rubato gli appunti di matematica che avevo nello zaino in macchina.”