Perché anche Renzi non vuole far viaggiare i Bronzi di Riace

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Matteo Renzi, intervistato a Rtl 102,5 circa il prestito dei Bronzi di Riace all’Expo, ha evitato la consueta forma di “annuncite” limitandosi a negazioni, seppur sommarie: “Il punto è che spostarli a mio giudizio non ha alcun senso… Un conto è prendere opere italiane e portarle in giro al mondo, ma per quale motivo dovrei spostare i Bronzi a Milano? Piuttosto dovrei portare i visitatori dell’Expo da Milano a Reggio, perché ho bisogno di valorizzare la Calabria. A mio giudizio, questa vicenda qui non ha alcun senso, ma poi decideranno gli organi competenti”. E con queste dichiarazioni, sembra che la partita sia chiusa, con buona pace di Vittorio Sgarbi e di Roberto Maroni che sono i sostenitori dell’art-tour.

Vale la pena però qualche considerazione.

I BRONZI SERVONO A EXPO?
Innanzitutto: i Bronzi servono all’Expo o no? Risponderei nì. Prima dell’arrivo di Sgarbi ambasciatore, per regione Lombardia, di Expo, la questione arte era rarefatta. Il grande merito di Vittorio è stato quello di porre attenzione sulla questione con un progetto sensato e di alto livello. Chi verrà a Milano, dopo aver vagolato per cibolandia a Rho, si farà pure un giretto a Milano, una città che possiede beni culturali di tutte le epoche e straordinari, e alcuni padiglioni naturali d’arte che andrebbero lustrati al meglio ma che sono già di altissima qualità: Palazzo Bagatti Valsecchi, il Cenacolo, Palazzo Clerici, Palazzo Litta…

Ciò non dimeno, il pezzo icona, cioè i bronzi di Riace, avrebbe una grande attrattiva, non tanto per gli stranieri che come arrivano a Milano possono benissimo arrivare a Reggio Calabria, bensì per i visitatori limitrofi, quelli entro un raggio di 200 chilometri, i quali non si farebbero scappare l’occasione di “esserci” e selfarsi. Il trasporto dei Bronzi – sarebbe possibile e garantito tramite l’alta velocità che ha standard altissimi di sicurezza – sarebbe un evento mondiale nell’evento universale. Il prestito non era stato concesso neppure a Berlusconi in occasione del G8 che avrebbe dovuto tenersi alla Maddalena e che poi fu trasferito a l’Aquila in seguito al terremoto.

I BRONZI POSSONO VIAGGIARE?
Secondo: i Bronzi possono viaggiare? Credo, insieme a Sgarbi, che i Bronzi siano trasportabili. Sono già stati trasportati. Prima sono stati più di duemila anni in mare e sono sopravvissuti. Le attenzioni dei conservatori, pur lecite, sfociano spesso in vere fisime maniacali, in una sorta di super ideologia della musealizzazione.

Terzo: perché i Bronzi non viaggiano? Questa è una risposta molto difficile. Bisognerebbe innanzitutto rispondere a una pre-questione: di chi sono i Bronzi? E questa è una risposta ancora più complessa. In teoria non sarebbero di nessuno, sarebbero un bene dell’umanità, opere greche per caso affondate e per caso rinvenute sulle coste italiche. In sostanza dovrebbero essere proprietà dello Stato Italiano. In pratica, pur essendo in un museo statale, sono sottoposti alla “cura” della regione Calabria e della città di Reggio Calabria. In definitiva sono in mano al Sovrintendente. Chi decide dei Bronzi? Difficile dirlo: il ministro della Cultura, Dario Franceschini, in realtà i tecnici del Mibac radunati in apposita commissione, sentito il parere del restauratore, sovrintendente, sindaco, presidente della Regione, infine presidente del Consiglio e della Repubblica. Sopra a tutto c’è, ovviamente, l’opinione pubblica. Ma se qualcuno obbietta al prestito “e se si rompono?” chi si prende la briga di decidere per lo spostamento? Non di certo, il restauratore, la commissione, il sindaco, il vice sindaco, l’assessore, il sottosegretario, neppure la signora Mariuccia di Voghera che a quel punto penserà “sono pazzi a mandarli a Milano e metti che il Bronzo 1 si rompe un braccio, o che il Bronzo 2 si sgretola finendo polvere nella polvere…”.

I BRONZI SERVONO ALLA CALABRIA?
Quarto: i Bronzi servono a Reggio Calabria e alla Calabria? La risposta è nì. Oltre a essere un simbolo, i Bronzi non sono mai stati tanto valorizzati né sono serviti a valorizzare il museo o la città di Reggio. Il Museo Archeologico Nazionale fu chiuso durante un restauto per 1.291 giorni, impendendo la visita ai Bronzi, che prima della “momentanea” serrata (dati 2008) attiravano appena 130 mila visitatori all’anno per un totale di introiti di 190 mila euro.

Quinto: nel mondo desidererebbero esporre i Bronzi? Proprio nel 2008, come consigliere del ministro dei beni culturali, feci un lungo viaggio negli Stati Uniti visitando molte delle più rinomate istituzioni culturali americane: a New York, Boston, Atlanta, Dallas, Los Angeles, ma anche in centri minori come Rino Nevada e Forth Worth. L’idea era di replicare sul modello Louvre, un marchio “musei italia”, con il quale far circolare e valorizzare il nostro immenso patrimonio, specie quello “archiviato” nei magazzini, magari guadagnare qualcosa per contribuire ai costi in patria, più in generale fortificare la presenza del nostro Paese all’estero attraverso il valore della cultura. Ovviamente, malgrado le buone relazioni intavolate e la disponibilità dei musei americani anche a pagare, non si fece niente. Al Mibac, specie ai funzionari, le partnership economiche sembravano disdicevoli, una sorta di svendita, di incanto dei beni aviti.
Si badi: non che le opere italiane non circolino all’estero. Ogni anno circa 12 mila pezzi partono per i più svariati luoghi. Al di là della reciprocità (gratuita) con i grandi musei stranieri, gli altri prestiti, che non sono inquadrati in nessuna strategia complessiva, permettono piccoli guadagni e talvolta neppure alle istituzioni, semmai a quel nugolo di operatori che si muove in una zona grigia. Così facendo anche i sovrintendenti mantengono un piccolo potere che è dato dalla possibilità di negare i prestiti basandosi su regole impenetrabili e arcani, e dunque abusando spesso di un’ampia discrezionalità che sfavorisce il libero mercato e privilegia le consorterie (alcune volte perfino il lucro personale). L’idea che si facesse chiarezza sui prestiti, anche quelli a pagamento mediante un prezziario, venne scartata poiché troppo mercantile.

I BRONZI POTREBBERO INCASSARE?
Tornando a Bronzi, in occasione del lunghissimo restauro, sia la National Gallery di Washington che il Getty di Los Angeles proposero un loan fee milionario se lo Stato italiano avesse acconsentito a un tour negli Stati Uniti di queste due icone. Teniamo conto che negli anni Sessanta negli Usa arrivarono la Gioconda e la Pietà Vaticana. In Italia, sempre i funzionari del Mibac mi guardarono sbalordito: il prestito era impossibile, il cancro del bronzo rendeva rischioso lo spostamento, poi questioni varie burocratiche, infine l’allora sovrintendente della Calabria, il sindaco di Reggio, e il presidente della Regione, si incatenarono quasi materialmente davanti al museo archeologico creando una inutile bufera perché convinti – dicevano – che una volta partite le due statue non avrebbero fatto più ritorno.

Sesto: cosa possiamo dedurre? Dopo i 1291 giorni di clausura, è difficile credere che l’opzione “conservativa” sia stata lungimirante e poco lungimirante appare oggi la politica di non provare almeno per una volta a far viaggiare i Bronzi, con tutti i crismi di quello che potrebbe essere un evento epocale. Il museo Picasso di Parigi prestando le proprie opere in giro per il mondo nei tre anni di restauro dell’edificio ha incassato soldi sufficienti per pagare la ricostruzione (una trentina di milioni di euro). I Bronzi potrebbero essere gli ambasciatori della Calabria e dell’Italia, suscitando ammirazione in tutto il mondo, invece giacquero stesi nel palazzo del Consiglio regionale, dove pochi arrivarono per ammirarli, e ora stanno in un Museo non ancora completato e poco visitato. Un po’ come la Venere di Morgantina riavuta dal Getty di Malibu dopo una lunghissima battaglia giudiziale tra lo Stato Italiano e gli Usa (era stata trafugata), una delle immagini più note della nostra cultura nel mondo, e ora pressoché non visitata nel museo archeologico di Aidone, bellissimo e remoto borgo siciliano (ma questa è un’altra storia).

Sommarie conclusioni
A parte le questioni propriamente economiche, c’è un tema di democrazia e civiltà nel non valorizzare il patrimonio culturale come si dovrebbe, nel non renderlo eticamente sostenibile né disponibile per essere fruito. Il Mibac oggi sembra essere l’ultimo ridotto del più inutile pensiero reazionario: dietro la paura (agitata) che qualcuno possa depauperare o svendere i nostri beni, si cela il più vieto conservatorismo di chi coltiva il proprio orticello a danno della comunità.