Folkrockaboom! è il grido di battaglia

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Nuovo disco per il duo palermitano, il Pan del Diavolo, di ritorno dalle remote frontiere degli States

 

Pan del DiavoloSound per ballare, per combattere e anche per innamorarsi. D’altronde può accadere qualunque cosa quando ci si trova davanti il Pan del Diavolo. Induce in tentazione con il sacro del bluegrass e il profano del punk, capaci di far vibrare le ossa. Ma Pietro Alessandro Alosi e Gianluca Bartolo, se proprio devono essere inquadrati, preferiscono definirsi “FolkRockaBoom”, nome del nuovo album dell’energico e trascinante duo palermitano, nato nel 2007.

«In una scena scartata dal documentario su Bob Dylan “Eat the document” si può ascoltare una conversazione tra Dylan e John Lennon su un taxi – racconta Alessandro Alosi – a un certo punto Lennon, riferendosi all’esplosione della musica folk rock anni Sessanta, usa l’espressione: “Folkrockaboom”. Siamo rimasti folgorati. Questo nome riesce a descrivere la nostra musica, sempre in bilico tra diversi generi».

Un urlo che dal sud Italia si propaga, supera i confini e arriva fino alle più profonde frontiere americane facendo ballare e sognare su pezzi come “Mediterraneo”, “Cattive idee” o “Mezzanotte”. «In questo disco si possono trovare canzoni per viaggiare, influenzate dal nostro tour negli Stati Uniti del 2013 – continua il musicista – uno spirito di avventura che non significa necessariamente “tutto andrà bene”. Nella canzone “Vivere fuggendo” traspare la voglia di scappare, ma al contempo il protagonista assiste a catastrofi e aleggia una domanda: “sei tu che stai sbagliando o è il mondo?”».

Un universo di viaggi reali e onirici in cui sembra rinascere Stevenson, «non è solo lo scrittore dell’“Isola del tesoro”, ma colui che contro tutto e tutti ha attraversato mari e monti per raggiungere la sua amata», sorride Alessandro.

I Pan del Diavolo si sono subito fatti notare nel 2010 con il disco “Sono all’osso”, baluardo del rock alternativo imbevuto di folk, a cui è seguito il più tecnico “Piombo, polvere e carbone” del 2012. Anima musicale mediterranea capace di travolgere come un’onda. «Il nostro folk non è mai stato classico e neanche statico – sottolinea Alosi – ci piace contaminarlo con quello che ci circonda, con il rock, con le sonorità italiane e con tutto quello che ci colpisce. Curiamo i nostri pezzi, siamo cambiati e abbiamo sperimentato tanto in questi anni, ma allo stesso tempo abbiamo sempre fatto leva sull’imprevedibilità del nostro sound». Un marchio di fabbrica che coincide con la parola “libertà”.

1/09/14