Il documentario di Davide Ferrario verrà presentato fuori concorso alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia.
di Pierpaolo De Mejo
Bulloni, rondelle, chiavi inglesi, ingranaggi, catena di montaggio. Non è il mostro meccanico che cattura, ingoia e risputa Charlot in Tempi moderni, ma l’inizio di una parabola, quello dello sviluppo industriale e della febbrile corsa verso il progresso che hanno accompagnato tutto il secolo scorso. In Italia, parte di tale sviluppo venne documentato da Dino Buzzati ne Il pianeta d’acciaio (1964), pellicola in cui viene utilizzato il termine “La zuppa del demonio”, oggi ripreso dal regista Davide Ferrario per il suo documentario che, con lo stesso titolo, verrà presentato alla 71esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Grazie alle immagini dell’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa del Centro Sperimentale di Cinematografia, a spezzoni di film e agli interventi di autori del calibro di Goffredo Parise e Italo Calvino, il film offre uno spaccato storico e sociale che descrive le lavorazioni nell’altoforno, raccontando il progresso italiano dagli inizi del Novecento agli anni ’70. “Il tema del film è mostrare quell’idea positiva che per gran parte del Novecento ha accompagnato lo sviluppo industriale e tecnologico, quell’idea, nata durante il miracolo economico italiano, secondo cui la tecnica, il progresso, l’industrializzazione avrebbero reso il mondo migliore. Non volevamo svolgere un discorso storico, politico o sociologico, ma provare a restituire il senso di energia, talvolta irresponsabile ma meravigliosamente spericolato verso il futuro, che è proprio ciò di cui sentiamo la mancanza oggi. Non per macerarsi in una mal riposta nostalgia, ma per capire come siamo arrivati dove stiamo ora” racconta il regista.
Dalle grandi opere degli anni ‘10 alla corsa all’elettrificazione per lo sviluppo della grande industria, il fascismo e la produzione bellica della FIAT, la ricostruzione nel dopoguerra e lo sviluppo di nuove industrie negli anni ’50, la città nella fabbrica e i modelli piemontesi FIAT e Olivetti, la ricerca di nuove fonti di energia in Italia e all’estero degli anni ’60 fino al pionierismo nel campo dell’informatica e del nucleare. “Abbiamo usato cento anni di documentari industriali delle più importanti aziende italiane. Sono le immagini, le voci a parlare. Al montaggio, il compito di esprimere il nostro punto di vista di narratori”.