Quella voglia di rinascere, creare e crescere
di Clelia Patella
A Tel Aviv, nella sede israeliana della Ermanno Tedeschi Gallery fino al 22 agosto, è in mostra “Eden” di Barbara Nahmad. Si tratta di immagini che, attraverso i pennelli dell’artista, raccontano dell’Israele degli anni cinquanta, quando – appunto – esso tornava a rappresentare, per tutti gli ebrei della diaspora, la vera e propria “Terra Promessa”. Quadri che raffigurano immagini (tratte da libri dell’epoca che circolavano nelle comunità ebraiche di tutto il mondo allo scopo di favorire l’Aliyà) che in realtà potrebbero essere scene di qualsiasi posto, e che appaiono quasi sospese nel tempo. La reazione del pubblico locale, di qualsiasi generazione fosse, è stata di sincera emozione. Molte le scene collettive di bambini, come a sottolineare lo stato di “infanzia” della nuova nazione: bambini quasi sempre vestiti nello stesso modo, coi loro grembiulini a fare come da piccola uniforme del piccolo, giovane stato.
Per rendere al meglio la sensazione necessaria per trasmettere l’idea di distacco dal tempo e di emozione immediata e senza rumori e ridondanze, la Nahmad ha abbandonato il suo stile abituale, per cui è nota da anni e che la rende immediatamente riconoscibile: niente più olio su squillanti sfondi a smalto, niente più icone pop. Tutto è ridotto all’essenziale. E l’artista, con questo, pare voler sottolineare come – in questo periodo di estrema crisi (in effetti, soprattutto di valori) dell’occidente – possa essere cosa saggia trascurarne i falsi miti, gli orpelli, e andare alla ricerca della semplicità e della voglia di crescere, nel nome di un sogno collettivo e sociale. Che l’artista ritrova, con estrema naturalezza – lei, al contempo pienamente ebrea ed europea – in questa storia.
Barbara Nahmad, classe 1967, nata a Milano da genitori ebreo-egiziani e cresciuta nel contesto di organizzazioni ebraiche, ha vissuto anche un anno in un Kibbutz israeliano, per poi tornare nel capoluogo lombardo e frequentare l’Accademia di Brera. Le sue opere del passato, caratterizzate ora dalla rappresentazione di nudi pornografici tratti dalle riviste di incontri – corpi senza un volto, decadenti nel fisico e nelle intenzioni, con chiari riferimenti estetici a Lucien Freud – , e poi dalla raffigurazione di warholiana memoria degli “dei” del secolo passato, piuttosto che dalla rivisitazione dei baci storici che sono diventati a loro volta icone, l’hanno fatta apprezzare da critica, pubblico e collezionisti.
Ma ora, arrivata a un punto in cui non ha più la necessità di “dover dimostrare” per forza qualcosa, Nahmad sceglie – o per meglio dire, vi perviene naturalmente – di tagliare formalmente (e quindi stilisticamente) e concettualmente col passato. Appare quasi paradossale che lo faccia con una mostra che si rifà ad immagini degli anni cinquanta. Ma, come dicevamo prima, in questo caso si tratta di testimoniare un passato che appare atemporale, anonimo e sospeso, e di cui emerge solo il significato profondo: ritrarre la voglia di rinascere e di creare, di crescere, di valori etici positivi, di assenza del superfluo, di sacrificio e di sostanza. E queste istanze sono talmente urgenti nei nostri tempi da rendere i quadri di “Eden” più attuali che mai.
Questa svolta dell’artista la mette senza dubbio in gioco anche per il fatto che tende a rivelarne fragilità e difficoltà che precedentemente erano celate dietro alla sicurezza del proprio operato. Ma, come lei stessa afferma, “la cosa meravigliosa è che questo ha prodotto una visione molto aperta e positiva anche da parte degli altri. Perché tutti abbiamo fragilità e difficoltà, le ho io come le ha il mio pubblico e le hanno i miei collezionisti… Con tutti mi sono quindi ritrovata in un confronto più diretto, con meno distacco, con più commozione.”
La mostra proseguirà anche in Italia, in autunno, a Roma e a Torino.
09.07.2014