Biblioteche di Roma, gli ultimi custodi della Cultura

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C’è un’Istituzione culturale a Roma di cui si parla poco, anzi quasi per nulla. Non fa notizia perché il suo scopo non è inseguire i giornali, né corteggiare amici influenti; non sta seduta da decenni sull’immobilismo monumentale della sua arroganza storica. Anzi è un’Istituzione giovane, appena maggiorenne visto che di anni ne ha solo 18. Non ha un nome altisonante, né si fa frequentare dai salottini radical-chic dell’intellettualismo militante. È un’Istituzione che alimenta una cultura prevalentemente letteraria, ma non solo.

Sto parlando dell’Istituzione Biblioteche di Roma: 37 sedi ufficiali più altrettante diffuse a macchia di leopardo per la città a raggiungere gli spazi marginali delle periferie, delle borgate, delle scuole, delle carceri; oltre 24.000 mq di spazi pubblici e aperti per i romani, con un’affluenza annuale che supera i 2 milioni; quasi 5000 iniziative culturali in un anno che si sommano alle attività classiche di prestito di libri e audiovisivi.

L’Istituzione Biblioteche è forse l’unica realtà che a Roma produce cultura per la città e non per gli intellettuali e i media.
È stata fondata nel 1996 durante la prima giunta Rutelli (l’unica, degli ultimi trent’anni, che ha fatto qualcosa di significativo per la città), per volontà e visione di Gianni Borgna. Oggi quello di Roma è il più importante sistema bibliotecario del sud Europa in grado di guardare alle esperienze scandinave e anglosassoni.

In questi anni è stato anche l’unico luogo metapolitico in cui destra e sinistra hanno saputo lavorare fianco a fianco, senza farsi la guerra. Ha avuto presidenti di sinistra stimabili, come (Tullio De Mauro), e altamente competenti (come Igino Poggiali); e di destra, dinamici e creativi (come Francesco Antonelli). Il risultato è che l’Istituzione Biblioteche di Roma è l’unica Istituzione che continua a crescere per iscritti e utenti e l’unica che mantiene un elevato indice di gradimento tra i cittadini. Per questo, il rischio che oggi il Comune non trovi le risorse economiche necessarie al mantenimento di questo fondamentale presidio culturale, preoccupa non solo coloro che ci lavorano, ma la città intera.

Ma le Biblioteche di Roma ci aiutano a riflettere anche su un paradosso e su una contraddizione: nel tempo della rivoluzione digitale, dei media pervasivi, della crisi della scrittura sconfitta dalla forza dell’immagine, lo spazio del “custode dei libri” (per dirla con quel grande reazionario di Borges) non diventa residuale ma si amplia. Le biblioteche interpretano un bisogno ancestrale di relazione, un’esigenza di condivisione di spazi e di sapere che il web (spazio fisico anch’esso) ha reso ormai un processo naturale di riorganizzazione e percezione della realtà: da luoghi di conservazione di libri sono diventate, laboratori crossmediali per nuove creatività e linguaggi.

Non è un caso che il 75% di chi frequenta le biblioteche romane ha meno di 30 anni. Il motivo è semplice: le biblioteche sono come internet. Sono una “rete” di relazioni interattive (negli spazi fisici) e di accesso diretto e non mediato all’informazione e alla conoscenza. Ciò che contengono non ha bisogno d’intellettuali o manipolatori di anime; non solo libri, ma esperienze di riconoscimento di vecchie e nuove identità oltre il consumo del sapere.

 

@GiampaoloRossi

 

06.07.2014