Peppe Macrì: quando la foto fa jazz!

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Scatti di Noa, Paolo Conte, Fabrizio Bosso, Sergio Cammariere e tanti altri

di Simonetta Sciandivasci

Se gli occhi possono parlare, la fotografia può suonare. Pindarico, ma logico, concreto. Come il jazz. E come il lavoro di Giuseppe Macrì, per gli amici Peppe Flash, che il jazz non lo suona, ma lo ritrae nei suoi scatti. Nato 38 anni fa, giusto in tempo per ereditare la tenacia degli anni in cui per sviluppare una foto si andava in farmacia a comprare gli acidi e poi li si mescolava in un pentolino, Flash è figlio d’arte. Si è formato nella scuola migliore: lo studio paterno. Da bambino giocava al calcio e all’obiettivo. Anche al jazz ci è arrivato per merito di una precisa geolocalizzazione del destino: il suo paese natale, Roccella Jonica (provincia dei bronzi di Riace), ospita da anni uno dei festival internazionali più importanti del genere. Da ragazzino si imbucava dietro le quinte del palco per immortalare signori del calibro di Archie Shepp e quando lo beccavano lo sbattevano fuori a pedate come si fa con le teppe. Poi è diventato grande e su quel palco ci è salito da coordinatore e fotografo ufficiale dell’evento (che negli ultimi anni, come è accaduto a tutte le cose buone e sane, dal latte al Roxy Bar, è stato bistrattato, salvato in corner, abbandonato, resuscitato e tuttora sta come d’autunno sugli alberi le foglie).

Prima attratto soltanto dal sudore dei musicisti e poi dalla grazia estemporanea e inattesa della loro arte, Flash è diventato un militante dello scatto. Un ritrattista di note in fieri, di suoni che escono dal pentagramma e saltano nel buio. Voli e salti gli piacciono talmente tanto che una volta ha quasi convinto Gianluca Petrella, eminente trombonista, a lanciarsi da un cornicione verso il tetto di una chiesa. Salta tu che ti fotografo e poi salto anch’io. Il Dio della ragione, per fortuna, ha fermato entrambi prima che finisse male. Dio non pervenuto, invece – e probabilmente per questioni di libero arbitrio – quando l’indomito Flash, con una altrettanto indomita manovra, si è fatto ritirare la patente in autostrada, mentre se ne tornava in albergo con Paolo Fresu e Antonello Salis dopo il Lamezia Jazz di qualche anno fa, costringendo tutta la combriccola a fare l’alba su un guard rail. Da allora, quando rivede Fresu, la prima cosa di cui parlano non è “A love Supreme” di Coltrane, ma quella notte da rock star. Se la fotografia ruba l’anima, insomma, il fotografo ruba il fiato. E, parola di Flash, se la fotografia migliore è quella che mette in luce l’estro di cosa ritrae, il fotografo migliore è anche quello che, dentro quella stessa luce, sa diventare un raggio ben riconoscibile, il tocco ladresco che apre i cassetti degli estranei.

Flash è Arsenio Lupin: ti giri e sei fregato. In un nanosecondo, porta via gioielli, trucco, parrucco, veli di Maya e mette a nudo l’estro segreto che muove le intenzioni. Noa, Paolo Conte, Fabrizio Bosso, Sergio Cammariere e decine di altri, dentro le sue foto su e giù da un palco, li si sente cantare esattamente quel segreto.

 

26.04.2014