Le rime mozzafiato di Coez

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Molto più della Società Dante Alighieri, l’italiano lo salveranno i rapper.

di Simonetta Sciandivasci.

Mettiamo che hai 16 o 19 anni. Sei a scuola e il prof di lettere propone il tesseramento di tutta la classe alla società Dante Alighieri, quella che “tutela la lingua e la cultura italiana nel mondo – è scritto sul sito – ravvivando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la madre patria”. Qualche euro e passa la paura, facciamolo contento, magari così non m’interroga, pensi. Poi c’è ricreazione e figuriamoci se vuoi socializzare: su le cuffie, a palla quella canzone di Coez che fa dalla finestra piove in diagonale, la tua immagine in testa, immortale.

“Diagonale/ immortale”. Un limone spruzzato sul cuore. Chi ti ha infuso più amore per l’italiano, il prof o Coez? Coez o la società Dante Alighieri? Coez, ovvio: come darti torto.
“Madre patria”, suvvia: a stento sopporti la tua, di madre.
Classe 1983, rapper dai primi 2000, artisticamente romano ma geneticamente salernitano, Coez dimostra che non si nasce mai in un posto per caso: è venuto al mondo a Nocera Inferiore, paesino etrusco che, stando alla Storia, vanta un alfabeto tutto suo, il nucerino. E sarà anche per questo che lui con le parole ci sa fare.

Nei primi 2000 si rappava nelle periferie e per le periferie, a Roma e Milano, massimo a Torino. Ora è diverso: si rappa da Quarto Oggiaro a Brera, da Monti a Ballarò. Coez ha fatto entrambe le cose e si è irrobustito, qualche purista lo accusa di essere pop, ma ai puristi non piace l’agilità, amano solo il carbon fossile. Ha all’attivo il disco “Figlio di nessuno”, del 2009, più hip hop – racconta più il disagio che l’amore – e “Non erano fiori”, del 2013, più pop – racconta il disagio dell’amore, cioè l’abbandono, con tutto l’orgoglio e il pregiudizio che ne conseguono. Tra i due lavori, nel 2012, ha pubblicato l’EP “Senza Mani”, cui ha fatto seguire il singolo “Nella casa”, che lo ha consacrato sulla scena nazionale.

“Non erano fiori” è il lavoro migliore. Non solo perché è più pop (pop non è svendersi, bensì universalizzare), ma anche perché è quello scritto meglio. E’ scritto talmente bene che mozza il fiato pur senza rime esotiche, senza l’alta poesia di quel gigante del rap italiano che è Kento (uno che scrive versi tipo “alla cassa seguirà il rullante, il sasso si farà diamante”) e, soprattutto, senza proporre il sofisticato amplesso tra politica e amore che solo l’hip hop sa far funzionare.
È scritto in modo da allenare l’orecchio dei sedicenni alla bellezza dell’italiano, a usarlo per fasciare i concetti, oltre che per renderli inebrianti. Carneficina che rima con MadeInCina: un capitolo di storia contemporanea. Sto sotto la pioggia, la vita mi boccia: un paio di capitoli dello Zibaldone. La musica, quando non è autarchica, è più maestra della scuola.