Le irresistibili zitelle di “Piscistoccu a ghiotta”

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Grandi risate con Alveario e Friscia nel testo di Gianni Clementi diretto da Ninni Bruschetta.

di Francesco Sala

Le irresistibili schermaglie di due sicilianissime zitelle che battibeccano, si rincorrono per tutto il tempo in un esilarante gioco al massacro, mentre la loro vita trascorre inesorabilmente tra casa e bottega. Sono Addolorata e Rosaria. Tema della discussione: l’economia in casa in tempo di crisi.

Addolorata vorrebbe vivere come una signora: spende, scialacqua, sogna elettrodomestici di ultima generazione che non userà, guarda i programmi del pomeriggio alla tv, è ipnotizzata dall’oroscopo mattutino.
Rosaria invece è la formica operaia: accantona, fatica, fa economia, tiene in maniera parossistica a quei “quattro piccioli”, si lamenta della crisi: “è tutta colpa dei cinesi che vendono le camicie a quattro euro!” Il desolante desco famigliare si riunisce attorno alla pietanza del pesce stocco alla messinese, frutto di ingredienti semplici, pazienti, di cottura lenta; proprio come sembra essere il personaggio di Rosaria (magistralmente reinventato da Antonio Alveario).

Ci vogliono delle aggiunte succulente però per fare il vero ‘Piscistoccu a ghiotta’: ottime patate dalla buccia rossa, che devono assorbire la cottura del sugo e poi la conserva di pomodoro, sedano, cipolla e pepe; ingredienti che contraddistinguono l’esilarante caratterizzazione di Sergio Friscia per Addolorata. Il piatto farcito è servito. Una pietanza che anticamente si mangiava nelle feste campagnole, si offriva agli dèi durante le Atellane, era di tutto un po’. Da qui il termine ‘farsa’, da farcire e poi ‘satura’-satira, quasi come la intendiamo oggi: lazzi, improvvisazioni, doppi sensi, canzonature di vizi, virtù, fatti da personaggi fissi: il vecchio avaro buggerato, lo scemo canzonato e parassita, mangione e spendaccione.

Queste due sorelle dovranno presenziare per forza a un matrimonio di un loro cugino di primo grado. La fortunata sposa sarà la badante moldava della madre, cioè la zia delle nostre protagoniste. Bisogna andare, ma la cosa che preoccupa di più Rosaria è il regalo di nozze, ovviamente.

Il finale ci riserva un amaro colpo di scena. Serata molto divertente grazie soprattutto a questi due antichi istrioni, che con la mimica, la musicalità del loro dialetto, la gestualità e le pause, si farebbero capire ovunque.

Al Teatro La Cometa di Roma fino all’8 gennaio.