di Corona Perer
Che dire di lui? Che posa: ma non è un fotomodello. Che dipinge: ma non è solo un pittore. Che è un fotografo: ma si fa fotografare. Che è un padre: ma è anche un performer del figlio.
Paolo Ventura è tutto questo: artista, o meglio, fotografo. Lui si definisce così, ma le sue opere nascono disegnando le quinte, sulle quali lui si posiziona come oggetto da fotografare. Collaborano moglie e figlio che dietro l’obiettivo (o dentro il soggetto) aiutano l’artista a completare la performance il cui risultato finale è narrazione, fotografia, pittura. Ventura è in residenza al Mart di Rovereto, dove sta lavorando sul tema della Prima Guerra Mondiale (in vista del centenario del prossimo anno).
Ha scelto la rappresentazione della memoria. Nella mostra che ne è venuta, a cura di Nicoletta Boschiero, e che è stata allestita a Casa Depero a Rovereto (TN) in ottobre, l’artista ha giocato con due elementi vicini e lontani: il pittore e il mago ovvero Fortunato Depero (detto ‘Mago’) e il pittore futurista.
Ventura è un po’ come Hitchcock: transita nelle sue opere, si camuffa e si trasforma, le marchia della sua trasognata allure con pose surreali davanti a scenografie da lui dipinte che danno vita a un racconto sospeso nel tempo. Il tutto ‘muove’ in una Milano ‘sironiana’, che fa da quinta teatrale alla prima storia in cui un mago fa sparire e riapparire un ‘monello’ (suo figlio in questo caso) che, misteriosamente, scompare nella nebbia negli ultimi scatti. Nella seconda storia il protagonista (sempre lui) è un pittore-soldato che è rappresentato dapprima nel suo studio, poi in guerra, infine invalido. Il pittore-soldato torna infermo e povero. Effetti di guerra, si potrebbe dire.
La suggestione creata dalle fotografie dell’artista muove un senso di aspettativa. I volti impassibili e ingessati sono gli stessi che si ritrovano nei dagherrotipi del secolo scorso realizzati negli studi dei fotografi o nelle fiere popolari. Surreale, magico: sembra di assistere a un teatrino e al tempo stesso di essere al luna park, dentro storie senza tempo dove muovono l’infanzia, l’innocenza, la guerra, il mistero. Sembra di osservare dei dagherrotipi del secolo scorso realizzati negli studi dei fotografi o nelle fiere popolari tra ricordi possibili, in bilico tra memoria e immaginazione. E sogno.