A Milano, negli spazi di PARCO – hub creativo che è sia laboratorio di idee che contenitore di eventi – si è consumato un gesto artistico che potremmo definire “trappola semiotica” o anche “la grande truffa del rock’n’roll”, per dirla col titolo del primo e unico album dei Sex Pistols: Eau de Eau, il progetto concepito da Max Papeschi e Arianna Bonucci a cura di Alisia Viola e Tommaso Venco e andato in scena la sera del 21 maggio.

Ma attenzione: non si è trattato (solo) di un’installazione, di una performance o un semplice vernissage. Eau de Eau si è presentato a tutti gli effetti come un’apparizione pubblicitaria, un lancio mondano con sotto il tranello culturale, “the great rock’n’roll swindle“, appunto.
Il pubblico ha ricevuto inviti patinati, ha varcato le soglie di PARCO curate con estetica da flagship store e si è ritrovato circondato da hostess, luci glamour, layout di prodotto e visual da campagnia high-end. Tutto gridava: profumo!
Ma il profumo non c’era, c’era l’acqua: Eau de Eau si è rivelato infatti un inganno consapevole, una sofisticata simulazione critica. L’opera ha costruito un universo di simulacro per poi smontarlo sotto gli occhi del visitatore, che si è ritrovato inconsapevole protagonista di un ribaltamento percettivo e culturale.
Il marketing, l’apparenza, la patina del lusso: tutto è stato citato senza dirlo, amplificato e poi svuotato. L’acqua – elemento cardine – è diventata simbolo di una purezza tradita, emblema del controllo, della riproduzione estetica e della mercificazione del nulla.
Max Papeschi ha fatto ciò che sa fare: ironia feroce, cortocircuiti visivi, attacchi frontali all’immaginario dominante. Arianna Bonucci ha orchestrato la macchina visiva e narrativa con precisione chirurgica, tracciando una traiettoria estetica che ha avuto nell’inganno il motore drammaturgico e nella rivelazione il momento critico.
Il risultato è stato un’esperienza immersiva che ha mescolato arte visiva, performance e installazione in un dispositivo concettuale stratificato.
Il titolo, Eau de Eau era già di per sé un manifesto, più contemporaneo del Manifesto di Karl Marx, più coinvolgente del Manifesto di Ventotene, più performante delle 95 tesi di Lutero: tautologico, pleonastico, vuoto come certe promesse di marca eppure pieno di sapienza, consapevolezza e critica.

A sigillare l’operazione Eau de Eau il grande ledwall realizzato da Quadruslight, azienda milanese specializzata in sistemi retroilluminati che sta entrando in questi mesi nel grande gioco dell’arte contemporanea, che ha restituito all’ambiente il tono da fiera del desiderio – immagine mobile e ipnotica che ha simulato la realtà pubblicitaria per ribaltarla dall’interno. Un’opera travestita da evento, o un evento smascherato come opera, un gesto fra l’estetico e il politico.
A poche ore dall’evento abbiamo incontrato Max Papeschi e Arianna Bonucci, che hanno accettato di parlare con OFF.

Il titolo “Eau de Eau” è una scelta ironica e concettuale: in che modo questa “fragranza d’acqua” rappresenta la critica che volete muovere alla società contemporanea?
In questo caso sono partito da dati reali leggendo articolo che nel 2030, cioè domani, la richiesta di acqua dolce nel mondo supererà del 40% l’offerta. Mi sono documentato, ho approfondito l’argomento e mi sono accorto che in realtà quasi nessuno ne parla, in parte perché le comunicazioni sull’ambiente sono abbastanza noiose: in che modo allora si può raccontare questa cosa in modo interessante?
Proviamo a metterci dalla parte dei cattivi, mi son detto: se invece di essere un artista fossi un miliardario, come userei questa notiziai? C…!, direi, cominciamo a vendere a peso d’oro quest’acqua come se fosse un profumo di lusso e rivolgiamoci al mercato dei super ricchi per i prossimi 20 anni!
Ho fatto questo ragionamento alla Darth Vader, alla “lato oscuro dell’Impero”, che è un po’ la mia cifra stilistica se vuoi, come il progetto Welcome to North Korea, in cui ho interpretato l’Ambasciatore della Propaganda della Corea del Nord. Ho rivoltato la prospettiva, fondamentalmente.

Avete volutamente ingannato il pubblico, simulando un vero lancio commerciale: cosa vi interessava esplorare nel momento della “rivelazione”, quando l’illusione crolla?
(Arianna Bonucci): Tutto è nato da una ricerca d’archivio nel materiale di Max a partire da un progetto pensato per Love Therapy, un marchio di Fiorucci. Da fotografa e regista con background nella pubblicità ho detto a Max che per rendere tutto credibile si doveva creare una situazione che sembrasse un vero lancio di un profumo di lusso, dove non sarebbero potuta mancare quelle hostess che con le mouillettes ti fanno annusare la nuova fragranza. Max ed io abbiamo pensato che sarebbe stato molto divertente realizzare questa operazione alla “abiti nuovi dell’Imperatore” e che spiazzasse i sensi dei visitatori in uno spazio imponente con una gigantografia di 4 metri e un tunnel di 14 hostess da cui non potevi assolutamente esimerti: a parte una piccola percentuale di spavaldi che hanno detto che non si sentiva niente, quasi tutti si sono complimentati per la “fragranza eccezionale” e il profumo “molto delicato”. Ci aspettavamo esattamente questo, un’apoteosi dell’illusione.

Max, com’è evoluto il tuo linguaggio artistico in questo rispetto ai progetti precedenti?
Volevo lavorare sul linguaggio pubblicitario, cosa che faccio da tanti anni, ma questa volta da un punto di vista assolutamente estetico e assolutamente credibile: Eau de Eau è dunque un lavoro a quattro mani, di Max Papeschi e Arianna Bonucci. Dal 2008 fino alla parodia di Trump ho raccontato un periodo storico ben preciso, mentre ora cerco di concretizzare sempre più concetti concentrandomi maggiormente sull’assoluto che non sul relativo per raccontare qualcosa di più eterno possibile. Sarà anche per l’età, l’estinzione arriverà anche per me a un certo punto! (qualunque riferimento a Extinction è puramente voluto, n.d.r.).
Arianna, hai progettato il progetto “Eau de Eau” dall’inizio alla fine: come hai costruito l’identità visiva e narrativa dell’evento?
L’equilibrio tra inganno estetico e messaggio critico è celato nei dettagli. Sapevo che per rendere l’illusone credibile i codici visivi dovevano essere estremamente patinati e con una efficace strategia di comunicazione: ci voleva un partner autorevole come Barbara Alberti che fosse riconoscibile a una certa fascia generazionale, ma ci voleva anche un partner giovane come Valentina Vernia (ballerina e coreografa con 2 milioni di follower su TikTok, n.d.r.) che potesse arrivare ai giovanissimi, cosa molto difficile nell’arte contemporanea.
Idem per lo spot promozionale, un lavoro mastodontico realizzato in equipe con il ruolo imprescindibile del giovane regista Giorgio Angelico: se vedessi questa pubblicità in tv o alla fermata del tram non avresti dubbi, è un nuovo profumo, c’è un nuovo brand in città.