Le meraviglie sottomarine di Stefano Prina all’Acquario di Milano

0
fonte acquariodimilano.it

Forse non lo sapevate, ma a Milano nella trafficatissima e centralissima via Washington al 106, sottoterra (ma dovremmo dire: sott’acqua e fra pochissimo saprete perché) c’è, dal 1984, un laboratorio/atelier, un connubio unico tra l’ingegno di uno studio di progettazione e la maestria di una bottega artigiana d’epoca, dove prendono forma personaggi, storie e animali e altre meraviglie in legno, resina, gesso sintetico, ferro, materiali vari e oggetti trovati.

L’artefice all’interno di questo antro degli incanti è Stefano Prina, architetto e scenografo e modellista nato a Milano nel 1965 e fin da piccolo affascinato dal mondo sott’acqua, nella fattispecie rappresentato dall’Acquario Civico di Milano. E proprio qui lo abbiamo visto, Stefano Prina, per la sua mostra (non la prima, le sue opere a metà fra l’arte e l’artigianato le hanno viste a Parigi, Amsterdam, Shangai, Lipsia e sicuramente abbiamo dimenticato qualche altra città) intitolata “Il canto delle balene. Storie fantastiche da un mondo sommerso” (fino al 29 giugno), tra capodogli e balene e personaggi di un mondo incantato che in realtà ci dice tantissimo sul mondo là fuori in cui viviamo.

La maestria di Stefano Prina è totale: se non possiamo definirle sculture, sicuramente le sue opere rappresentano la perfezione della manualità e della professionalità, come quel Giannotto da Viterbo scultore del 500, che disse: “Per fare acconcia e bene una graziosa cosa abbisogna sempre d’averci un modello“. E che modelli!

All’Acquario di Milano abbiamo visto tanti piccoli teatrini o per meglio dire diorami, con storie immaginarie tra soggetti fantastici, come una balena in un tinello, un omino che pesca un enorme cetaceo, una testa d’ippopotamo trasformata in carrozza -e qui “la mozzarella in carrozza” diventa “il pachiderma in carrozza” -, un grande capodoglio con una porticina all’interno.

Tutto vero, non solo nel senso della realizzazione fisica ma anche in quello più sottile del pensiero e della storia e del presente, sia pure sulla falsariga di un storia “ucronica”, che poteva anche essere ma non è stata, un’alternativa alla direzione degli eventi: come scrive la coordinatrice delle mostre Elisabetta Polezzo nello splendido volume (con splendide foto di Valerio Donghi) che accompagna la mostra, “tutto rimanda a qualcos’altro in un gioco labirintico di cui indovinare la genesi risulta particolarmente divertente. Il capodoglio con una piccola apertura nel corpo, a mostrarne la natura cava, riporta alla mente la vicenda del Cavallo di Troia […], la testa di ippopotamo trasformata in carrozza ricorda la straordinaria scoperta, avvenuta alla fine dell’800 nel villaggio di Allonton, di alcune ossa di questo animale“.

Tutto vero e tutto immaginario attraverso la forza evocativa del diorama, utilizzato con una finalità al tempo stesso attuale e antica, all’insegna del raccontare storie lungo un percorso espositivo di 37 diorami, in un’immersione nel mare della meraviglia che affascina e stupisce.