Leonor Fini, “l’italienne de Paris”

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“Io sono Leonor Fini” è il titolo della mostra che dal 26 febbraio al 22 giugno 2025 si terrà a Palazzo Reale a Milano, un omaggio all’arte visionaria dell’italienne de Paris. L’esposizione, curata da Tere Arcq e Carlos Martín, unisce fotografie, libri, dipinti e costumi per un numero totale di cento opere.

Leonor Fini: un ritratto

Ipnotica creatura felina, Leonor Fini nasce a Buenos Aires nel 1907 e muore all’età di ottantanove anni a Parigi, la città che la consacra come l’italienne de Paris. Nel gorgo di una lunga contesa genitoriale – il padre è argentino di origini beneventane, la madre è triestina – Leonor, sin da bambina, mostra i primi segni di una grande creatività. A sette anni principia nel disegno. L’immagine è quella di un’arte prematura rintracciabile nel suo magico teatro di bambole: un fanciullesco gioco da palcoscenico preannunciato da eleganti fantocci.

“Le bambole erano per me delle attrici e non delle bambine; le vestivo con ritagli di meravigliosi vestiti da sera di mia madre e mia nonna: crêpe, velluti, chiffons, lamè”.

Il tema dell’infanzia si svela in maniera predominante in seguito a una delle opere più suggestive dal titolo Presto, presto, presto… le mie bambole attendono (1975). La bambola, nel singolare universo di Leonor, descrive il corpo della fanciullezza e parimenti il tempo del mutamento.

Il travestimento germoglia dapprima nella morsa di una necessità, quella di sottrarsi ai molteplici tentativi di rapimento da parte del padre, quindi Leonor vive costretta a travestirsi da bambino per non farsi trovare e dunque rapire. Passaggio segnante di indelebile profondità che nella giovane Fini fornirà la sollecitazione per l’opera Voleur d’enfant (1930): la rappresentazione di un uomo guardingo, intento a sollevare il velo di una culla dove giace un bambino dormiente.

La considerevole attività artistica di Lolò trattiene linfa da una realtà scompaginata per accomodarsi in un tratto singolare e complesso. Nel fuoco di un’ulteriore operazione, l’immagine della bambola come forma di travestimento, penetra nell’artista alla maniera di un moto definitivo. Un verso che tratteggia l’esplorazione dell’autenticità di Kierkegaardiana memoria. Nell’impossibilità di consegnarsi all’autentico, la costruzione di una maschera rappresenta un’avida occasione per giungere al puro stato di libertà.

A fronte di una personalissima mise en scène di sé stessa, l’interesse cardinale della sua opera resta la figura umana. Forme che fuori da qualunque contenimento, attraversano molteplici correnti per rinnovarsi ogni volta in un flusso diverso.

La sua vocazione all’arte fluisce nella vita anche con la copiosa frequentazione di artisti che, di volta in volta, evolvono in amanti, maestri, mentori. Henri Cartier-Bresson la conduce al cospetto del futuro convivente, l’intellettuale parigino André Pieyre de Mandiargues. Si lega per un breve periodo a Max Ernst che la scorta direttamente nelle braccia del Surrealismo Stanislao Lepri lascia la carriera di console per legarsi a Leonor sino alla fine dei suoi giorni. In questa relazione entra anche il saggista Constantin Jelenski. Leonor rappresenterà per tutta la sua vita un vero e proprio richiamo ancestrale, insondabile e sensuale.

Al centro della sua opera, oltre ai numerosi ritratti di personaggi illustri risalenti al periodo della sua infanzia, campeggiano maestose fogge di donne. Creature avvenenti, spesso avviluppate da un’aura inquietante, avvolgono in atmosfere oniriche conducendo nel grembo di un mistero festeggiato oltre la tela stessa. La donna vive una creatività eterodossa, estensione che giunge anche nel cuore creativo di molti artisti. Parigi è la città che la celebra come surrealista. Per l’amica Elsa Schiapparelli, Leonor crea l’ampolla del profumo Shocking, una vera e propria ode alle forme dell’attrice Mae West, in seguito ripresa dallo stilista Jean-Paul Gaultier. Lolò vive di sensi e di intelletto richiamando un’altra superba figura novecentesca: Lou Andreas Salomè, dunque Nietzsche e Rée per Lou, Lepri e Jelenski per Lolò.

I passaggi nelle diverse città disegnano nell’italienne de Paris le aperture ai grandi mutamenti della sua arte. Da Milano a Parigi i toni si fanno più chiari e l’ostinata ricerca della verosimiglianza si dissolve completamente. La Ville è la città del femminino e la creazione di Leonor si volge del tutto all’universo donna: creatura di mistero audace e penetrale. L’immagine femminile si fissa dunque dentro un cosmo insondabile, un mondo oscuro che domanda venerazione, lasciando fuori ogni velleità di intendimento. Creature arcane che si ritrovano ne La pastorella delle sfingi come la celebrazione di una femminea autorevolezza; La bout du monde tutta nel solco di una cantica della fascinazione femminile.

L’indagine di Lolò scava nell’animo umano alla ricerca di quel magma che tiene l’artista vivo e creativo. La vita onirica, anche nella bruma più maniacale, assume i tratti sinuosi e prende forma nell’opera. Accanto alla pittrice Fini, sopravvive una Leonor che diviene il soggetto privilegiato dell’arte fotografica. Con l’ancheggiare nello sguardo, si mostra con il fine di tornare a mostrarsi nel grembo di un’autoreferenzialità visiva e orgasmica. Si esibisce per esibirsi, non occultando l’atto puramente esibizionista, che è già spasmo dei sensi tutti. Leonor Fini si lascia immortalare dai grandi della fotografia e dell’arte: Man Ray, Henry Cartier-Bresson, Dora Maar, Leno Pilon, Erwin Blumenfeld, Eddy Brofferio.

L’artista non affievolisce in un’inclinazione schiva o riservata; l’eccesso è spesso manicheo e sovente estremo nel solco di una vertigine trascinante e seducente.

Leonor amò farsi osservare, ossia spiccare, farsi notare, sfuggire alla comunità, vale a dire ancora non crederci e farsene gioco” (Jean-Claude Dedieu)

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