Francesca Barbi Marinetti: “Mio nonno FTM e Benedetta Cappa, che entusiasmante esperienza di arte in coppia”…

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A tu per tu con Francesca Barbi Marinetti, nipote di Filippo Tommaso Marinetti e figlia di Luce Marinetti, terzogenita del fondatore del Futurismo
Francesca Barbi Marinetti fotografata da Walter Capelli presso Fondazione Sangregorio

A tu per tu con Francesca Barbi Marinetti, nipote di Filippo Tommaso Marinetti e figlia di Luce Marinetti, terzogenita del fondatore del Futurismo . E’ una critica d’arte, curatrice di mostre e titolare di “D. d’ARTE” con cui progetta, realizza e promuove eventi culturali in Italia. E’ nel consiglio di amministrazione di Palaexpo di Roma.

Confesso di aver sempre avuto il desiderio di assistere a una serata futurista, dal ritmo veloce, sintetico (in opposizione al teatro contemporaneo, definito da Filippo Tommaso Marinetti prolisso, analitico, psicologico, statico) con azioni teatrali rapidissime, che dovevano stringere in pochi minuti, in poche parole e in pochi gesti innumerevoli situazioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli, prendendo di mira il Solenne, il Sacro, il Serio. Cospargere le poltrone di polveri che provocassero il prurito, lo sternuto e grande ilarità. Con una serie di invenzioni e di effetti spettacolari determinati dalle luci ,rumori o colori, i movimenti del corpo, combinate in modi imprevedibili e una fruttuosa contaminazione tra il teatro di cultura e quello di varietà dalla comicità beffarda e surreale. E’ accaduto.

Il 2 dicembre al Teatro Manzoni di Milano il futurista Edoardo Sylos Labini, brillante e instancabile attore e regista, ha portato in scena (per il ciclo gli Inimitabili della cultura) la figura di Filippo Tommaso Marinetti, per la drammaturgia di Angelo Crespi direttore della pinacoteca di Brera. Data non scelta a caso: il 2 dicembre del 1944 il fondatore del futurismo (il celebre Manifesto appare in prima pagina su Le Figaro di Parigi, il 20 febbraio 1909) moriva a Bellagio, sul lago di Como, in un’Italia devastata dalla guerra e in piena guerra civile. Una messa in scena molto pop che ripercorre l’esistenza, all’insegna della velocità e del desiderio di infrangere le regole, di uno dei più grandi intellettuali del Novecento ,instancabile, dinamico, vulcanico Filippo Tommaso Marinetti, per i più intimi, semplicemente “Effetì”, detto anche “caffeina d’Europa”. Con Marinetti ogni aspetto dell’esistenza viene terremotato: dalla moda al teatro, dall’architettura alla pittura, dalla poesia al cinema, dalla musica alla sessualità, dalla danza alla cucina. Nulla resta incontaminato dalla sua energia, dalla sua adrenalina, dalla sua caffeina.

Eccolo a zigzagare sul palcoscenico Edoardo Sylos Labini, in bombetta e gilet futurista un po saltimbanco e ballerino, fra le luminarie pop create da Marco Lodola dai colori decisi, sgargianti, senza accenni di sfumature , a declamare le poesie parolibere e dinamitarde dalla battaglia di Adrianopoli e quelle tenere alla moglie Benedetta – Benny – le parole incendiarie dei manifesti e i nomi dei suoi compagni d’avventure: Balla, Boccioni, Carrà, Sant’Elia, il grande teorico dell’architettura della città nuova futurista . “Bisogna studiarla bene la storia e soprattutto conoscerla. Anche se Marinetti rimase sempre in ottimi rapporti con Mussolini, ma non all’idea del ‘fascismo’ come movimento politico. Combattè la censura e le leggi razziali esponendosi in prima persona, nel 1938 e con una grande manifestazione al Teatro delle Arti di Roma, si oppose in prima persona all’ “Operazione arte degenerata” con cui il regime, sulla scia di quanto accadeva nella Germania di Hitler, intendeva fare piazza pulita delle avanguardie, cancellando di fatto la nuova arte del Novecento, Futurismo compreso“.

Ricorda anche l’amicizia con Luce Marinetti. “La prima volta che affrontai il Futurismo fu oltre 20 anni fa . Andai a bussare alla porta terzogenita di Filippo Tommaso Marinetti. Mi disse sorridendo: ‘tu sei il vero attore futurista’. Ho chiamato mia figlia Luce . Non è un nome come un altro. E’ un simbolo di speranza per un Paese che deve essere culturalmente all’avanguardia. La nostra vera sfida, lo ripeto da tempo, è la forza della cultura per costruire le basi di un’Italia in controtendenza con un mondo sempre più globalizzato e disgregato“.

In una serata di improvvisazioni futuristiche non manca un piccolo imprevisto tecnico (vero o finto?, ma chissà) e il Maestro Colicchio intrattiene il pubblico con musiche futuriste. Alla serata milanese era presente la nipote di Filippo Tommaso Marinetti, Francesca, figlia di Luce Marinetti, alla quale è stata consegnata un’opera dell’artista Marco Lodola, noto per le sue opere pop iper colorate, tra i fondatori del Nuovo Futurismo (non è raro sentirgli citare Marinetti come fonte d’ispirazione), attraverso l’uso di nuovi linguaggi e materiali, facendo riferimento al mondo dei fumetti, alla pubblicità e ai mass media in generale.

Francesca Barbi Marinetti in Fondazione Sangregorio, foto di Walter Capelli

Edo Sylos Labini sta contribuendo prima con la televisione e ora con questi spettacoli in giro per l’Italia a farlo riscoprire come merita. È giusto che Marinetti sia sempre più oggetto di attenzione da parte della nostra cultura”, ci racconta Francesca Barbi Marinetti. “Questo spettacolo fa riflettere sul valore della cultura, e senza una retorica pesante, che torna quasi sempre quando si ricordano quelle epoche straordinarie , per ricordarci che l’arte è motore pre figuratore del nuovo che avanza. Sicuramente questo è uno spettacolo da mostrare ai giovani perché non si adagino alla ricerca di una comfort zone, ma guardino con fiducia nelle possibilità offerte dal futuro. E che piacerà a quella nuova generazione di artisti che si muove al di là del mercato e, in controtendenza rispetto alla mancanza di immaginazione di questi tempi, cerca forme e avventure nuove. L’arte è una spia che indica dove va il mondo e per questo non può essere imbrigliata. A loro dico: ,osate, lottate per le vostre idee“.

Preceduta da una tempesta di polemiche, dal 3 dicembre fino al 28 febbraio 2025 è visitabile alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma la mostra Il tempo del Futurismo, a cura di Gabriele Simongini, promossa e sostenuta dal Ministero della Cultura . Un’esposizione grandiosa, articolata in 26 sale , sono esposte circa 350 opere tra dipinti, sculture, provenienti da musei stranieri e italiani come il MoMA e il Metropolitan di New York, la Estorick Collection di Londra, il Kunstmuseum dell’Aja, insieme a oggetti d’arredo, un idrovolante, automobili, motociclette e strumenti scientifici d’epoca.

Un suo commento?

La polemiche che ci sono state sono davvero incomprensibili. Andate a vederla. Merita davvero. ll percorso di questa mostra spiega molto bene il tratto visionario e la potenza creativa di un movimento che ha trasformato il modo di pensare l’arte e la modernità, contestualizzandolo nella società dell’epoca, rivoluzionata dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche. E porta a riflettere, e in particolare alle nuove generazioni, sull’energia delle avanguardie storiche, di cui il Futurismo è tra i massimi movimenti, sull’importanza di quell’entusiasmo nella sperimentazione del nuovo che nei tempi attuali, delle volte, fa molta paura. Aggiungo anche che per questa mostra sul Futurismo la Gnam è il luogo giusto. E’ stata inaugurata nel 1911 in pieno fermento del movimento eppure non aveva mai ospitato una grande mostra sul Futurismo. Una lacuna che finalmente viene colmata. Ne sono felice.

Cosa è stato il futurismo?

Che lo si voglia o no, è stata la prima e unica avanguardia italiana del ‘900 a irrompere sulla scena internazionale. Ha travolto ogni ambito artistico apportando un rinnovamento nella cultura e nell’arte al di fuori e al di sopra degli accademismi imperanti. ll Futurismo rompeva schemi, rompeva barriere. Rivendicava il diritto alla ribellione, al vitalismo in totale contrapposizione alla non-azione del Decadentismo e al passatismo. Nel segno della provocazione iperbolica, certamente efficace all’epoca. Il futurismo era proprio quello, un’accesa provocazione che voleva risvegliare l’Italia , per riappropriarsi delle sue potenzialità. Nella forma di un inno ai nuovi valori e ideali della modernità.

Curioso il futurismo, è il primo movimento d’arte totale proteso nell’universo, senza confini, ma al tempo stesso è pervaso d’amor patrio e nazionalismo.

Marinetti preannunciava il globalismo come espressione di tre differenti culture: africana, essendo nato e cresciuto ad Alessandria d’Egitto, francese, essendo stato educato in una scuola di gesuiti francesi (e poi era stato a Parigi), e italiana, a cui sentiva fermamente di appartenere e quindi voleva che tornasse alla grandezza che meritava.

C’è un po’ un luogo comune intorno al Futurismo che viene considerato un movimento maschilista?

Ma non è per niente vero! I Futuristi si batterono per il voto delle donne in Parlamento, la parità salariale, la possibilità del divorzio. Non esiste un’avanguardia in quegli anni che abbia accolto così tante donne. Dalla primissima androgina Valentine de Saint-Point, all’esoterica Maria Crisi Ginanni, all’artista Barbara (ndr. Olga Biglieri), un’aeropittrice che ha preso il patentino di volo per poter dipingere avendo nella memoria e negli occhi il senso del volo. O Enif Robert Angiolini, con cui ha avuto confronti su tematiche del maschile e del femminile. Dissero, provocatoriamente, di voler esaltare “il disprezzo per la donna”, non della donna in sé, come ribadirà Marinetti, ma del modello dominante dell’epoca, che la vuole remissiva, sdolcinata, amorevole, gelosa, moralista e pietista e le impedisce di abbracciare il mondo moderno. La donna non appartiene all’uomo bensì all’avvenire, diceva Marinetti.

Marinetti definì le gondole “poltrone a dondolo per cretini”, voleva asfaltare il Canal Grande, distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, uccidere il chiaro di luna

Sicuramente certe cose lo irritavano profondamente, come l’atteggiamento polveroso e passatista, ma si trattava di provocazioni. Soprattutto sentiva che la modernità richiedeva un altro tipo di approccio: dialogare con il passato ma non in maniera polverosa. Con la sua retorica anti museale il movimento ricorda che i musei e le accademie devono rispondere alla contemporaneità.

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Rendering fotografico per “Post Zang Tumb Tuuum” (Fondazione Prada, Milano, 2018) Filippo Tommaso Marinetti nella sua casa (da “Wiener Illustrierte Zeitung” e “Berliner Illustrierte Zeitung”, 1934) con sullo sfondo “Dinamismo di un footballer” di Umberto Boccioni, 1913. Ullstein Bild / Archivi Alinari © 2017. Digital Image, The Museum of Modern Art, New York / Scala, Firenze. Ph. Foto: W. Seldow courtesy Fondazione Prada Milano in occasione della mostra

Dichiara guerra anche alla pastasciutta, “alimento amidaceo” colpevole di provocare negli ignari consumatori “fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo”. Mi incuriosiscono le ricette astruse nella cucina futurista aerea e veloce

Marinetti si trova ad anticipare di parecchi lustri quell’innovazione gastronomica che in questi anni ha preso piede col nome di nuova cucina. Il pranzo diventa uno spettacolo, fulcro di mille emozioni, colori, forme, sapori, odori, abbinamenti costituiscono stimoli sensoriali, tattili, visivi, olfattivi, gustativi. Insomma guai a mangiare solo per nutrirsi. Famosa a riguardo la frase di Marinetti, “Si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia”. E i nomi delle portate sono meravigliosi, evocativi, fantasiosissimi. l’Antipasto intuitivo, il Brodo solare, il pollo d’acciaio, uova divorziate. Per anni ho creduto che a casa dei miei nonni non fosse consentito occupare per la durata di un pranzo lo stesso posto, ma che all’ordine del padrone di casa, per non impantanare la sensibilità, tutti si spostassero di due o tre posti a destra, march! O, piatti e bicchieri nelle mani, facessero il giro totale della tavola in corteo!

Per lungo tempo nella cultura italiana il Futurismo è stato tabù a causa delle ombre e pregiudizi riguardo alla discussa questione dell’adesione ideologica dei futuristi al fascismo.

L’ostracismo in Italia durò per quasi mezzo secolo: nelle scuole l’argomento era o ignorato totalmente o appena accennato, mentre le opere futuriste erano in gran parte abbandonate negli scantinati dei musei e delle istituzioni. Solo nel 1986, con la mostra “Futurismo e Futurismi”, tenuta a Venezia a Palazzo Grassi, il Futurismo inizia a riemergere alla luce.

L’eredità del futurismo sul piano culturale e sociale?

Il Futurismo non è solo “piacere del nuovo”, ma anche il pensiero audace, il pensiero scomodo. Oggi che il conformismo è diventato un atteggiamento dilagante in moltissimi ambiti, il futurismo è più che mai attuale.

Sua mamma, Luce Marinetti, aveva solo 12 anni quando il papà scomparve. E dedicò tutta la sua vita per rilanciare il movimento in tutto il mondo…

Grazie a lei il Futurismo è “arrivato” negli USA, del resto già pronti ad accogliere questa avanguardia: la critica statunitense fu fra le prime a riconoscere l’importanza storica dell’avanguardia futurista e moltissime opere di artisti come Carrà, Boccioni, Severini, Balla sono state acquistate da musei e collezionisti privati americani. A lei si deve la raccolta della corposa documentazione tuttora conservata al Getty Institute di Los Angeles, da lei stessa lì depositata. L’Università di Yale alla fine degli anni ’70 acquisì quadri, documentazioni, manoscritti che andarono a formare quella che è attualmente un’importantissima collezione.

Che padre è stato Tommaso Marinetti?

L’idea che mi sono fatta è di un padre spesso in giro per il mondo con le sue attività futuriste che qualitativamente faceva sentire la propria presenza. Un padre affettuoso e stimolante, capace di grande tenerezza e di dare un tocco di ironia anche ai momenti di tensione. Non si sottraeva mai al dialogo con le figlie, e sapeva essere straordinariamente coinvolgente,, disposto per ore ad insegnare a suonare il piano, come si riconoscono i canti degli uccelli, i profumi dei fiori, la morbidezza o la rugosità delle foglie. Un aeropoema conservato nel Connecticut, presso la Beinecke Library di New Haven, la sezione della biblioteca dell’Università Yale che ha digitalizzato 10.705 diapositive tratte da ritagli di lettere, manoscritti di Marinetti, inizia così: “Grazie Lucetta per i fogli del tuo quadernino armonizzano nell’immensa casa del cielo divenuta famigliare coi suoi nostri aeroplani sonnecchiano facendo le fusa gattoni di nichelio maestri delle nuvole d’argento”.

Come si cresceva in casa Marinetti?

Potrei dire che quella di Marinetti era davvero una grande famiglia allargata, che non è composta dai soli parenti di sangue, ma da tutti i futuristi, dagli appassionati, da quella che si dice “la lunga eredità del Futurismo”. Casa Marinetti a piazza Adriana ospitava artisti di ogni tipo: poeti, musicisti, danzatori italiani e stranieri. Le serate futuriste naturalmente non erano cosa per bambini, tra declamazioni parolibere, battute di teatro, improvvisazioni musicali, anche perché avvenivano la sera tardi e per questo venivano mandati a dormire. Ma mia mamma trovava tutti i modi per sgattaiolare fuori e mettersi dietro a una tenda per “spiare” le riunioni di mio nonno con i futuristi: era un divertimento totale (praticamente le riunioni erano una simulazione delle serate futuriste) e credo che mio nonno lo sapesse e chiudesse un occhio!

Un’altra figura importante era quella di sua nonna, Benedetta Cappa

Mi fa piacere che la ricordi. Un’intellettuale raffinata, un’artista “totale”, dipinge, crea scene teatrali, scrive romanzi, capace di mantenere sempre salda la propria identità accanto alla personalità forte e prorompente di Marinetti, in un reciproco rispetto dei propri e autonomi linguaggi. Firmava con il solo nome di battesimo Benedetta. Per lei, moglie di Marinetti, era una dichiarazione di esistenza autonoma, in quanto artista. Tutta la sua opera fu contraddistinta da uno stile inconfondibile e ricco di fascino. La visione artistica di Benedetta arricchirà le ricerche futuriste di psicologia e spiritualità.

Come descriverebbe il loro rapporto?

Un rapporto di costante dialogo e confronto. Marinetti stesso, di lei scrisse: “Ammiro il genio di Benedetta, mia eguale non discepola”. Marinetti aveva 45 anni quando la conobbe nello studio di Giacomo Balla, di cui è allieva, Benny aveva 22. Nonostante la differenza di età l’incontro fu fulminante. E diedero inizio ad una delle esperienze più entusiasmanti di “arte in coppia”. Insieme condividono la formulazione delle idee alla base del Manifesto del Tattilismo (1921) con cui si tentava di accrescere la sensibilità umana e perfezionare le comunicazioni fra gli esseri umani, attraverso l’epidermide. Firmò molte scenografie per il teatro futurista.

Per Francesca chi è stato nonno Marinetti?

Un grande poeta, di cui si parla sempre troppo poco. La sua è stata la rivoluzione delle parole in libertà, in cui è distrutta la sintassi, abolita la punteggiatura, in un vortice magmatico di pensieri e impressioni senza una sequenza logico-temporale , senza alcun ordine convenzionale. Dalla Conquète de etoiles, un poema epico in 19 canti pubblicato nel 1902 e scritto in francese, ricco di suggestive allegorie, in cui come in un sogno, dal ciglio di un alta scogliera, Marinetti assiste al cruento assalto del Mare che sollevandosi dagli abissi, va alla conquista delle stelle ingaggiando con esse una lotta di tifoni e di ondate, fino ai malinconici versi che chiudono un Quart d’ora di poesia della X Mas, scritta nel 1944 poco prima di morire: “Io non ho nulla da insegnarvi, mondo come sono da ogni quotidianismo e faro di una aeropoesia fuori tempospazio”.

“Ogni mattina imponetevi di contraddire il progetto o programma che la vostra vita passata v’ispira. Fate esattamente il contrario di tutto ciò che il grande Albergo, il Baedecker, i vostri amici, la temperatura della giornata, il paesaggio, i vostri bagagli, il vostro denaro, le vostre comodità e tutti i vostri gusti vi impongono di fare”. Marinetti, Scatole d’amore in conserva, 1927. E’ riuscita a seguire nella sua vita il consiglio del nonno?

Non sempre, però lo tengo molto presente: è un pensiero che lampeggia come un campanello d’allarme nei momenti di difficoltà e mi fa tanto bene ricordarlo: bisogna sempre mantenere uno spazio libero per modi diversi di esistere.

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Francesca Barbi Marinetti in Fondazione Sangregorio, foto di Walter Capelli