Giorgio Bulzi, nato a Milano nel 1963, pittore autodidatta, praticante di arti marziali giapponesi. Dipinge dall’età di sei anni, grazie al padre sensibile all’arte, è affascinato da segni ideografici orientali. Ex allievo di Sergio Dangelo (1932-2022), a Milano ha aperto il suo studio negli anni’80 e approfondito le ricerche nella calligrafia estremo – orientale. Ha incominciato a praticare kendo sotto la guida del maestro di spada Claudio Regoli, introdotto nella Katori Shinto Ryu. Dopo un lungo periodo di viaggi solitari per mare – Atlantico, Mediterraneo, Mar Rosso, Oceano Indiano- ha fatto scalo in numerosi porti africani, dove ha soggiornato per lunghi periodi. La sua casa-atelier alle porte di Chinatown a Milano si chiama “La casa del Tengu”, dove tutto è pensiero intorno al fare arte.
Come e quando hai scelto di unire l’azione alla pittura?
Non ho scelto, sono stato scelto, è l’azione che ha scelto me. Mi sono svegliato una mattina, qualche anno fa, e mi sono sentito pronto per questa nuova avventura. Devo confessare che la prima volta non mi ero neanche preparato, ho eseguito la mia performance davanti al pubblico – silenziosissimo – come se l’avessi fatto da sempre. Ho avuto due eccezionali assistenti e quando hanno issato la calligrafia alla parete mi sono sbalordito io stesso per quello che avevo fatto. Seguirono applausi scroscianti, neanche fossi stato una rock-star! Ma la mia soddisfazione vera fu l’aver eseguito l’opera con gesti e tratti sicuri, nella calligrafia e nell’arte gestuale non c’è spazio per ripensamenti o pentimenti, i tratti devono essere definitivi. L’opera non riuscita deve essere cestinata.
Come unisci la pratica di arti marziali alle azioni pittoriche e perché?
Io appartengo ad una scuola di arti marziali antica, la Katori Shinto Ryu, fondata intorno alla meta del XV secolo e tuttora esistente, attraverso l’ininterrotta catena dei “sokè” (reggente della scuola). Attualmente siamo al ventesimo sokè. La tradizione samurai, dai secoli passati, ci ha trasmesso un motto: “Bun bu ryoto”: “Pennello e spada: le due ruote dello stesso carro”, la scherma e la pittura funzionano come vasi comunicanti. Cerco di applicare questo motto progredendo sia nel maneggio della spada che del pennello, che in fondo sono la stessa cosa…a questo proposito mi viene in mente il testo di un brano degli Area…
Come connetti la tua ricerca artistica alla filosofia Zen?
Domanda insidiosa… In verità più che allo Zen io faccio riferimento allo Shinto per dovere di Scuola [risata] dato che la mia scuola di arti marziali fa esplicito riferimento al culto Shinto. Agisco come gli orientali: mi servo dello Zen, dello Shintoismo, del Taoismo secondo necessità. Del resto in Oriente non esistono confini tra una Dottrina o un’altra, si intersecano, si scambiano, cosa che per gli occidentali risulta incomprensibile, soggiogati come siamo dal dualismo irriducibile cartesiano.
Vivi del tuo lavoro artistico o sei costretto a fare altro, cosa fai?
In parte vivo delle mie opere, in parte devo fare affidamento su attività collaterali: grafica, decorazione d’interni etc. La difficoltà principale per un artista indipendente è guadagnarsi dei collezionisti. Recentemente mi sono dedicato all’arte dei giardini, lavorando al parco di Villa Semira, che fu residenza di Federico Confalonieri. Ho da sempre, dall’infanzia, uno stretto legame con la vegetazione, subisco il fascino di fiori, alberi e piante.
Quali materiali utilizzi, oltre al tuo corpo?
Qualunque cosa. Vero, per una calligrafia secondo le regole ci vuole la carta più preziosa, un inchiostro di qualità, buoni pennelli ma per le mie opere uso spesso cartapaglia o carta da imballaggio, smalti industriali, pennelli e pennellesse da imbianchino, matite, carboncini, pennarelli. Materiali poveri, insomma. Il mio Maestro Dangelo m’insegnò che la materia va dominata attraverso il gesto. Il gesto deve far cantare la materia che si sta usando, e per un buon gesto bisogna utilizzare tutto il corpo, sia nelle piccole opere da tavolo, sia nelle Azioni Calligrafiche giganti.
Ti ispiri a Yves Klein o alle pratiche dei Gutai, movimento giapponese di arte contemporanea che ha introdotto l’azione pittorica?
Certo! Sono i miei riferimenti artistici principali e credo che traspaiano nella mia opera, di loro quello che più mi ha attratto è la sperimentazione continua, l’utilizzo del corpo, lo spostare fino agli estremi i confini dell’arte, la continuità tra arte e vita. Credo che la loro lezione, il loro esempio vadano esplorati ancora a lungo e maggiormente in profondità. Con Klein poi sento un’affinità particolare, anche lui faceva entrare l’arte marziale nella sua opera. Era un judoka affiliato al Kodokan di Tokio, ha anche pubblicato un manuale di judo. Alle volte penso che il suo immenso blu fosse un dojo invisibile nel quale costantemente si allenava.
Cosa sono per te i Calligrammi e quali messaggi includono?
Ogni calligramma è frutto di un rito, un rito che non conosco, un rito agito per istinto e per intelletto. Ogni volta che dipingo cerco, ne sono sicuro, sento di ritrovare quell’antico filo che ci legava alla divinità. Credo nell’arte come forma di contemplazione ed ogni mia opera, ogni mio calligramma vuole assurgere a simbolo che possa riaprirci alla comprensione del divino, dell’infinito, dell’invisibile.
Sei solito agire in spazi aperti a contatto con la natura e utilizzi materiali organici “poveri” ovvero semplici , quali sono i tuoi obiettivi e messaggi?
Oriento le mie ricerche nell’antichità più profonda: shintoismo, sciamanesimo mongolico, culture mediterranee preelleniche, nella certezza di trovare la Natura primordiale, vergine, autentica e incorruttibile, e assaporare la divinità. Ho un sangue arcaico che mi richiama a un tempo dimenticato ma eternamente presente, a quell’attimo sospeso tra la fine della notte e prima dell’aurora, nella luce senza ombre. L’istante che precede la coscienza, prima di essere uomini, quando ancora non c’è separazione tra uomo e natura, tra uomo e dio, perché tutto era natura, tutto era dio, visibile e Invisibile. Ho eseguito mie azioni calligrafiche in giardini e boschi, spiagge e persino dentro al mare per sperimentare questa via.
Per dipingere hai sempre bisogno di un pubblico che osserva il tuo rituale o agisci anche da solo nel tuo atelier?
Ambedue. Le mie Azioni Calligrafiche, eseguite su grandi campiture, sono pensate per il pubblico e a queste si affianca il lavoro solitario in atelier. L’una è la continuazione dell’altra, non c’è una separazione.
Che funzione ha la musica-suono nel tuo lavoro ?
Importante ma non fondamentale. Quando lavoro in atelier ascolto radio3 (la mia rubrica preferita è Radio3 Scienza), altrimenti ascolto musica di mia scelta, barocca principalmente, diciamo che spazio da Monteverdi a Beethoven, particolarmente Handel. Ma ascolto anche molto jazz, Coltrane il mio preferito, e rock/pop fino agli anni ’80. Il resto non mi interessa, anzi tutto quello che viene dopo mi lascia molto perplesso… poi arriva la necessità del silenzio. Nel silenzio come nel vuoto si manifesta l’invisibile, i tre ingredienti fondamentali nella mia opera.
Cosa produci e vendi nel mercato dell’arte?
La mia produzione è vasta e varia, dalle piccole calligrafie ad inchiostro nero su carta alle opere di pittura su tela, alcune anche di notevoli dimensioni, fino alle mie performance e installazioni. Nel mercato dell’arte ci sono stato fino ai primissimi anni del secolo, quando avevo un piccolo contratto con una galleria milanese. Da allora la mia arte si è evoluta moltissimo, ma fatico a trovare un mio spazio, a trovare una galleria che mi rappresenti; quindi, cerco e coltivo da solo i miei collezionisti. Diciamo che sono a caccia di galleristi che possano rappresentarmi, e invertendo i fattori potrei essere io il cacciato, potrei essere io la preda di un gallerista coraggioso. Attualmente sto inviando a molte gallerie tre mie proposte di esposizioni/performance di azioni calligrafiche, ma ancora non ho ricevuto risposte.
Come comunichi il tuo lavoro?
Attualmente attraverso i social, sono presente su facebook e instagram, che utilizzo come vetrina del mio lavoro. Con molta fatica funziona, ho ricevuto qualche commissione, inviti a festival e rassegne d’arte. Ma è ancora troppo poco per quello che potrei dare.
Quali sono stati i progetti che ti hanno dato maggiore soddisfazione?
Non saprei, nessuno in particolare. Direi che da tutti i miei progetti attuati o da quelli cui ho partecipato ho sempre tratto soddisfazione, ogni volta ne sono uscito con qualcosa di nuovo, con un briciolo di sapienza in più. Certamente mi sento a mio agio dove posso esibirmi in performance di azioni calligrafiche giganti, dove posso entrare con il corpo nello spazio bianco e muovere il mio pennello in una danza che lascia il segno nero dietro di sé, dove posso dar corso a tutto il mio “furore olimpico”, se mi è concesso esprimermi così.
Hai mai pensato di fondare una scuola di formazione improntato sulla sincronia tra ricerca spirituale e arte come pratica meditativa, curativa e anestetizzante contro l’ansia del futuro del presente?
Oh, sì! Da tempo ci sto pensando e lavorando, malgrado le difficoltà organizzative e le collaborazioni ancora intermittenti. La mia idea è di mettere a disposizione la mia casa/atelier come luogo permanente di studio e pratica degli argomenti che citi nella domanda. Secondo le Dottrine Indù attualmente ci troviamo al termine del Kali-yuga, l’età oscura, e per non esserne travolti bisogna assumere forme di pensiero più forti dell’attuale naufragio. Le nuove generazioni le vedo molto sofferenti, anzi rassegnate e sarebbe opportuno offrire loro punti di vista differenti da quelli del pensiero dominante, dal main-stream. Credo che i giovani ne abbiano diritto.
Quanti giovani artisti condividono la tua ricerca artistica e quale metodo utilizzi per formarli alla liberazione della loro creatività?
Quanti non lo so. Da me ne passano molti, soprattutto studenti, con alcuni abbiamo collaborato, con altri abbiamo dato vita a dei progetti, altri sono scappati via spaventati. Al momento non riesco ancora a dare continuità a quanto ho risposto all’ultima domanda. Negli anni precedenti, nell’ambito del festival “Walk-in studio Studi aperti” ho ospitato due esposizioni di giovani artisti e con almeno due di loro siamo rimasti in contatto, e nella scorsa primavera ho dato vita a una “Residenza d’artista” ospitando un artista dalla Sardegna. Ne ho altri che si sono prenotati per l’anno prossimo… Quanto al metodo è lo stesso che uso quando insegno arti marziali: sgombera la mente e lasciati trasformare dall’esperienza.
A quale progetto stai lavorando?
Sarebbe meglio usare il plurale [risata]… Ho molti progetti, sia di esposizioni con performance, come detto prima, sia progetti di nuova ricerca. Per un periodo della mia vita ho navigato per mare, e per mare cime e nodi sono importanti, fondamentali e ripensando ai miei viaggi, durante la scorsa estate, ho avuto una folgorazione: i nodi sono degli ideogrammi, sono un alfabeto internazionale, ogni nodo è una lettera o una parola. Ecco, vorrei (e ci sto arrivando…) dipingere nodi e annodare calligrammi e ogni gesto, ogni pennellata vorrei che si trasformasse in un segno vivente, parlante. Non so ancora esattamente come fare, l’unica certezza che ho che mi sveglierò una mattina e tutto mi sarà disvelato. E poi sto scrivendo un libro – ed è quasi terminato – che prende spunto proprio da un mio lungo viaggio per mare. Ma questo è un segreto che non dovrei rivelare…