Miriam Galanti:”Nei personaggi scopro un’umanità diversa dalla mia”

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Miriam Galanti è un’attrice e conduttrice televisiva italiana, talentuosa allieva  del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e cresciuta sulle tavole del palcoscenico per poi affermarsi su set televisivi partendo da Don Matteo per arrivare ad essere un volto conosciuto del cinema indipendente italiano, vincendo inoltre nel 2014 il premio di Giovane promessa al Festival del Cinema di Venezia. Da questa sera fino al 9 novembre tornerà sul palco affiancata da Guenda Goria nello spettacolo The Wasp di Morgan Lloyd Malcolm per la regia di Piergiorgio Piccoli al Teatro Belli di Roma. Lo spettacolo, con la traduzione di Enrico Luttmann, è una produzione Theama Teatro ed è interno alla rassegna Trend.

A breve ti vedremo in scena al Teatro Belli per “The Wasp” con la regia di Piergiorgio Piccoli. Cosa puoi svelarci di questo progetto?

Lo spettacolo è all’interno della rassegna Trend di Rodolfo Di Giammarco con i testi contemporanei inglesi. Si tratta in questo caso di un testo molto forte, tutto al femminile, la cui tematica è il bullismo adolescenziale tra donne. Inoltre, trattiamo anche altre tematiche di forte impatto come l’infertilità e la violenza di genere. Credo che possiamo definirlo un thriller dato che parte seguendo una direzione ma poi il racconto si evolve attraverso una serie di colpi di scena, quindi è davvero imprevedibile. Interpreto un personaggio lontano da me, molto duro, che ha un modo di esprimersi e di agire estremamente rude e volgare e per questo ho trovato nel progetto un’ottima sfida dal punto di vista attoriale.

Oltre a questa lontananza dal personaggio, quali sono state le altre difficoltà che hai affrontato sul testo?

Sicuramente ho cercato di immergermi il più possibile nel contesto in cui si svolge la vicenda tanto da immedesimarmi nel ruolo di una bulla e cercando di entrare nella sua mente. Ogni volta che affronto un personaggio cerco sempre di non giudicarlo, anzi tento di capire le motivazioni che lo hanno indotto a compiere determinate azioni, persino le più spietate come in questo caso. Credo che attraverso questo spettacolo ciò che arrivi principalmente al pubblico è che la violenza in realtà è sempre fine a sé stessa, il male porta altro male. Il mio personaggio infatti utilizza questa ferocia perché ha avuto un’infanzia difficilissima, aveva un padre violento con lei con la madre e così quello che ha subito in famiglia lo fa subire a qualcun altro. Ovviamente ciò non giustifica tali azioni, anzi ci mette davanti a due strade che possiamo percorrere. Il dolore che viviamo può anche renderci delle persone migliori, in fondo la scelta sta sempre a noi.

Come può colpirti un personaggio che ti viene proposto? Penso anche al cinema dato i film che hai interpretato.

In realtà quello che mi colpisce sempre è la storia. Se la sceneggiatura mi colpisce ed il personaggio è ben disegnato al suo interno allora mi intriga, al di là se possa essere vicino o lontano da me. Alle volte mi affascinano i personaggi molto simili alla mia persona perché faccio prima ad empatizzare, altre volte invece amo affrontare quelli con cui mi trovo agli antipodi perché li trovo una ricchezza, un’opportunità di scoprire delle umanità differenti dalla mia.

A proposito del tuo percorso cinematografico, qual è il personaggio verso cui hai riscontrato maggiori difficoltà?

Sicuramente quello di Sonia nell’horror-psicologico “In the Trap” di Alessio Liguori, un’opera indipendente che ha avuto un bellissimo percorso in Italia e soprattutto all’estero. Lì ricordo di aver sfidato delle difficoltà importanti, in primis il fatto di recitare totalmente in lingua inglese essendo dell’intero cast l’unica attrice italiana. Poi il mio è un personaggio che cela un lato oscuro forte e questo mi ha permesso di conoscere la mia zona d’ombra ed è stato un piacevole incubo.

Che momento sta vivendo il cinema indipendente italiano?

Io vorrei che il settore cinematografico avesse il coraggio di investire in opere indipendenti per scoprire dei nuovi talenti che non per forza devono essere ragazzini ma anche semplicemente coloro che faticano ad entrare nel circuito mainstream. Secondo me il cinema deve avere il coraggio di rinnovarsi e di dare più opportunità.