Fiabe e visioni oniriche nei costumi per il cinema di Massimo Cantini Parrini

0
ph. foto costumi "Pinocchio" dir. Matteo Garrone

di Francesco Latilla e Francesco Subiaco

Se il cinema è davvero la dimensione in cui le varie arti si mescolano dando vita ad opere di rara bellezza, riuscendo persino nell’elevazione dello spirito secondo il pensiero di Andrej Tarkovskij, sicuramente il costume ne descrive il rigore, l’eleganza e la sapienza con cui viene realizzato un film. Massimo Cantini Parrini è tra i costumisti più eclettici e visionari che il cinema contemporaneo possa desiderare. Un artista che il mondo c’invidia come dimostrano le due nomination agli Oscar ricevute negli ultimi anni con importanti film come “Pinocchio” di Matteo Garrone e “Cyrano” di Joe Wright. Allievo di Piero Tosi, Cantini Parrini è da sempre un autentico romantico, con la scatola magica piena di elementi vintage e fiabeschi e lo sguardo rivoluzionario e mai conformista, in grado di elaborare il futuro. Artisti di tale maestria sono la speranza per l’Italia di essere condotta in un nuovo Rinascimento.

Sei uno dei costumisti più famosi e apprezzati in tutto il mondo. Facendo però un tuffo nella memoria scopriamo che questa tua passione nasce da una figura a te molto cara: tua nonna

Perché mia nonna lavorava in una sartoria fiorentina ed io nel pomeriggio andavo a trovarla. Ero affascinato da questa magia che le stoffe possedevano trasformandosi da bidimensionali a tridimensionali su un manichino ed io ricordo che giocavo con questi rotoli enormi utilizzandoli come fossero cannocchiali e osservando le sarte che cucivano attraverso il tubo. Credo che nasca tutto da lì, dalla frequentazione della sartoria con tutte queste signore, il loro chiacchiericcio, gli abiti meravigliosi che prendevano forma, gli stilisti che decidevano come sarebbe dovuto essere un modello e i suoi cambiamenti.

Hai spesso precisato di aver avuto tre maestri durante il tuo percorso formativo. Perché?

Perché sono stati tre incontri fondamentali. Incontrai Cristina Giorgetti, storica del costume, al Polimoda e mi fece allargare la mente attraverso un forte studio sul piano storico. Poi al Centro Sperimentale ho studiato con Piero Tosi avendo così modo di mettere in campo un po’ di teoria e di pratica tra queste due figure ed infine, con Gabriella Pescucci ho potuto rielaborare sul piano lavorativo tutti gli insegnamenti precedenti. Quindi i miei pilastri sono loro.

Soffermandoci sul leggendario Piero Tosi, puoi raccontarci il tuo provino con lui al Centro Sperimentale? 

Si. Non sapevo disegnare, venendo dalla moda schizzavo dei bozzetti prettamente moderni e invece Piero aveva bisogno di figure antiche. Bisogna anche dire che dare vita ad un personaggio attraverso il disegno vuol dire anche studiarlo psicologicamente sapendo ad esempio se è grasso o magro, dandogli quindi un carattere. Io non sapevo assolutamente farlo e durante l’esame di disegno abbiamo discusso perché lui mi strappava i fogli davanti agli occhi dicendomi: “All’orale troverò un modo per incastrarti” e invece all’esame orale lo spiazzai perché già sapevo moltissimo sulla storia del costume e quando mi rovesciò questa scatola di bottoni davanti chiedendomi l’epoca di ognuno di loro,  io li indovinai tutti dal primo all’ultimo. Lui rimase a bocca aperta perché non se lo sarebbe mai aspettato.

Il film che ha gettato il primo grande faro su di te deve essere stato Il racconto dei racconti di Matteo Garrone?

Assolutamente si, avevo già lavorato a film d’epoca però c’è sempre bisogno di un grande regista alle spalle che ti da visibilità e Matteo è stato questo per me, assolutamente.

Con Garrone hai strutturato un’importante sodalizio di grande arte cinematografica passando per gli oscuri labirinti dell’esistenza umana, in balia delle ombre. Come si tramuta l’oscurità in abito?

Attraverso un grande lavoro di documentazione. Poi devi avere una cultura visiva immensa che ti permetta di spaziare la materia nel miglior modo possibile. Più hai conoscenza della materia che affronti e più hai la possibilità di stravolgerla. Faccio l’esempio di Picasso, ha inventato il cubismo ma non perché non sapesse disegnare ma perché aveva una grande padronanza tecnica e veniva dall’arte figurativa e quindi ha deciso di stravolgerla. Credo e penso che in ogni mestiere dovrebbe essere così.

Soffermiamoci un attimo su Dogman. Diverse volte hai specificato che mostrare il contemporaneo a livello stilistico nel cinema è estremamente complicato. Perché?

Perché tradurre una visionarietà e un’estetica che hai sempre davanti agli occhi è difficilissimo, si può cadere nel cliché in un secondo ed è quello da cui fuggo. Cerco sempre di stupire lo spettatore attraverso il mio lavoro in base a ciò che rappresento. Nella contemporaneità è così, se si pensa ad un bancario lo s’immagina in maniera classica, convenzionale, invece bisogna stravolgere lo sguardo del pubblico, senza lavorare per cliché ma per ispirazioni e idee.

Per quanto riguarda Pinocchio, come hai affrontato il materiale importante su cui dovevi lavorare?

Guardando le immagini della prima edizione del libro ritratte da Chiostri e Mazzanti, due grandi disegnatori dell’800. Sono partito dalla realtà che esprimevano quelle illustrazioni, perché poi Matteo cerca sempre quella verità vera che riesce ad imprimere sullo schermo. Poi, su quel materiale ho aggiunto del mio.

Quanto conta il fiabesco per te e per la tua visione del cinema?

Conta tantissimo perché fa parte della vita reale. Ognuno di noi cerca qualcosa di fiabesco nella realtà che vive tutti i giorni. Qualunque essere umano se ha un briciolo di curiosità sicuramente ne è affascinato.

Come hai vissuto questa tua vicinanza al premio Oscar e questa notorietà oltre i confini nazionali?

In realtà l’ho vissuta in maniera molto terrena. Le persone affianco a me sono impazzite ed io, invece, sono rimasto inerme. Fa sempre paura vincere qualcosa perché poi si accende una lampadina su di te e tutti credono che al prossimo film chissà quali miracoli farai, io però lavoro sempre su quello che c’è scritto sulla sceneggiatura e dialogando con il regista. Poi posso dirti anche che questi accadimenti così importanti sono un po’ come un incidente, ci rifletti quando tutto è finito.