Carla Fracci: “Volevo fare la parrucchiera!”

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ilgiornale.it

Oggi il mito Carla Fracci avrebbe compiuto 86 anni, ma come tutti i grandi artisti ella rimarrà immortale. Vi riproponiamo per l’occasione la nostra intervista cult.

Scava la folla. La fende come una fiamma. L’icona della grazia. L’annuncio della devozione. 

Volevo fare la parrucchiera. “Il mio approccio alla danza fu del tutto casuale. Alcuni amici dei miei genitori mi videro ballare il valzer, riconobbero che avevo un senso della musica particolare. Proposero ai miei genitori di mandarmi alla scuola di danza del Teatro alla Scala, che faceva le audizioni. La scuola era gratuita, mio padre era un tranviere scampato dalla guerra di Russia, non se la sarebbe potuta permettere altrimenti. Così mi trovai per la prima volta in un teatro. La direttrice, severissima, mi inserì, dopo le selezioni, nel gruppo delle ballerine da rivedere: ‘è molto fragile, ma ha un bel faccino’, disse. Così mi presero. S’immagini che volevo fare la parrucchiera…”.

La ragazza non si applica. “I primi anni alla scuola della Scala furono molto duri. Pensavo di ballare invece passavamo ore a fare esercizi alla sbarra. Il ‘bel faccino’ ti porta fino a un certo punto, ma non basta: bisogna forgiare il corpo con il lavoro incessante. Spesso l’insegnante convocava mia mamma, ‘la ragazza ha delle possibilità, ma non si applica’. E arrivavano i rimproveri”.

La chiamavano “gambe di sedano”. “Mio padre mi chiamava ‘gambe di sedano’. Ero davvero molto fragile, con caviglie molto sottili. Questo non mi ha impedito – e ne sono orgogliosa – di portare la danza ovunque, nelle piazze, nei teatri più remoti”.

Le scampanellate del 18. “Papà guidava il 18. Era un uomo simpatico, una persona buona. Quando passava con il tram davanti alla Scala e sapeva che mi stavo esercitando, suonava il campanello, salutandomi. I miei genitori sono stati eccezionali: non interferivano con le mie decisioni, non mi mettevano pressioni. Oggi le bimbe che approcciano la danza sono eccessivamente sollecitate dai genitori”.

Cabine elettorali come spogliatoi. “Il posto più assurdo dove ho danzato? A Paestum, istigata da Franco Zeffirelli. Non c’era letteralmente nulla. Neppure gli spogliatoi. Li realizzammo usando le cabine elettorali del paese. Eppure, attraverso il passaparola, il teatro si riempì di folla, fu un successo straordinario”.

Il dito mignolo di Margot Fontayn. “Avrò avuto 12 anni, e insieme alle bambine della mia età facevamo le comparse de La bella addormentata. Entrò la Fontayn e restai ad ammirarla, magnificata. Tuttavia il maestro coreografo, Frederick Ashton, in un momento di pausa, si avvicinò a lei per correggerle il movimento del dito mignolo. Capii qualcosa di importante in quel momento: che conta solo il lavoro, l’applicazione, la dedizione”.

A teatro come in chiesa. “Adesso noto che manca il rispetto. Una volta si entrava a teatro come in chiesa, vestiti in modo adeguato, adatti. Ora in chiesa si va come capita, figuriamoci a teatro…”.

Una lunga storia d’amore. La parola a Beppe Menegatti. Colpo di scena sul palco. Appare Beppe Menegatti, regista teatrale, marito di Carla Fracci. “Era il 1954, Carla aveva 17 anni, io ero stato chiamato come assistente di Luchino Visconti alla Scala. La vidi per terra, a compiere alcuni esercizi con i piedi. La guardai, e l’intensità di quello sguardo non si è smarrita dopo oltre sessant’anni”.

La lettera di Madre Teresa di Calcutta (parla Menegatti). “Il fratello di Madre Teresa di Calcutta abitava a Palermo ed era un ammiratore della Fracci. Un giorno è proprio lui a portare a Carla, che stava realizzando Giselle, una lettera da parte di Madre Teresa: ‘poni nella tua danza il senso di Dio, così chi ti vedrà potrà giungere a Dio’. Fu un’emozione fortissima”.

Bernstein all’Hotel Duomo e la Callas in malattia (per fortuna). “Era il 1955, uno dei risultati più alti di sempre della Scala fu La sonnambula di Bellini secondo la regia di Visconti, la direzione musicale di Leonard Bernstein e la voce di Maria Callas. La Callas, però, si ammala e lo spettacolo viene rimandato di un mese. Durante l’attesa, all’Hotel Duomo, Bernstein scriverà gran parte di West Side Story. Era una Milano creativa, quella, eccitante”.

Rudolf Nureyev: vedi cosa vuol dire avere coraggio? “Ho lavorato moltissimo con Rudy. Era stravagante, come si vestiva e come voleva apparire. Era molto competitivo, e metteva a dura prova la ballerina. La sua energia era pazzesca, ma anche la sua generosità. Ricordo che mi invitò a fare Lo schiaccianoci, secondo una sua coreografia. Un lavoro difficilissimo, che, con pochi giorni di prove, non mi sentivo di fare. Fu lui a insegnarmi, passo per passo, la parte, con una dedizione assoluta. E fu un successo. ‘Vedi cosa vuol dire avere coraggio?’, mi disse, dopo lo spettacolo”.

La solitudine di un genio. “Nureyev aveva la mamma in Russia, e nella sua patria non poteva ritornare. La cosa lo tormentava molto. ‘Vedi, tu hai una famiglia, invece io sono solo, non ho nulla’, mi diceva. Quando potè rientrare in Russia, grazie a un permesso accordatogli da Gorbacev, la mamma era in punto di morte”.

La danza oggi? In smobilitazione (e io faccio paura). “In Italia la danza attraversa un momento molto delicato. I teatri nazionali hanno smobilitato le scuole di danza, ne restano pochissime. E i cartelloni sono fitti di compagnie straniere. Manca una grande compagnia nazionale. Io sono riuscita a fare un grande lavoro a Roma, ma poco altro. Perché non mi affidano la direzione di un teatro? Forse faccio paura!”.

Consigli alla ballerina del futuro. “Sono stata ripagata dalla vita come donna e come artista, lo riconosco. La danza è soltanto lavoro, lavoro micidiale. Non è qualcosa che riguarda la ginnastica, ma l’estetica, la danza è un dialogo incessante con la bellezza”.