Marcello Mazzarella, quel palombaro che voleva diventare come Cousteau…

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Nella fiction di Canale5 “L’Ora – Inchiostro contro piombo” lo stiamo vedendo indossare i panni dell’editore Gaetano Donati. Il curriculum di Marcello Mazzarella, però, è già da tempo ricco di esperienze professionali degne di nota. Siciliano, classe 1963, oltre a essere un attore di fama internazionale è anche sceneggiatore e regista di successo. E il Giornale Off lo ha incontrato durante una pausa dal set…

Raccontaci questo tuo nuovo progetto…

L’Ora – Inchiostro contro piombo nasce da un incontro speciale con il regista Piero Messina. Avevo sentito parlare molto bene di lui quando ero a Parigi da un amico comune. Così, quando mi fu proposto di partecipare al casting, mi sono impegnato a fondo per ottenere il ruolo dell’editore. Un personaggio che amo molto e che ha ricevuto molti consensi dagli addetti ai lavori e dal pubblico. Ero così felice di lavorare con Piero e con gli altri due registi della serie, (Ciro D’Emilio e Stefano Lorenzi) che ci ho messo tutto il cuore. Questo anche perché sul set, il nostro protagonista, Claudio Santamaria, ha favorito una grande collaborazione con tutti gli attori. Devo dire che questa serie ha un cast di professionisti straordinari. Tutti Bravissimi sia attori che tecnici. Dai costumi, alla fotografia e alla scenografia del grande Marcello Di Carlo. Il progetto mi interessava anche perché mi ricordava una parte della mia infanzia. Il giornale L’Ora era molto presente nelle edicole della Sicilia. Questi Giornalisti hanno fatto enormi sacrifici per combattere il cancro della Mafia. Salvo Licata in particolare, l’ho conosciuto di persona e abbiamo lavorato insieme al Teatro Gebel Hamed di Erice ai tempi della Zattera di Babele, la compagnia del grande ricercatore e regista Carlo Quartucci.

Rispetto ai precedenti, che tassello della tua carriera rappresenta?

Credo sia un passo in avanti. Era tempo che mi affidavano ruoli che non amavo molto. Ma la vita è costosa e uguale per molti di noi. Così ogni tanto sono stato costretto a fare anche cose che non mi piacevano. Poi però, come spesso succede, le cose cambiano e arriva la fortuna. Questo ruolo dell’editore del giornale L’Ora, a differenza di altre interpretazioni è più vicino alla mia sensibilità. Ha fatto venir fuori da me una grande umanità, una complessità di sentimenti che mi è congeniale. Un pò è successa la stessa cosa per il ruolo di Marcel Proust o Placido Rizzotto. Io amo interpretare personaggi complessi. Interessante è stato anche osservarsi durante il lavoro sul ruolo di Bernardo Provenzano nel Cacciatore. Un ruolo difficilissimo. Una sfida che è stata definita dalla critica, una interpretazione magistrale. Il Cacciatore è una serie che ho amato moltissimo e che mi ha fatto incontrare gente straordinaria. Vedete, non è una questione di personaggi buoni o cattivi. Ai personaggi non interessa questa distinzione e neanche a me. La verità è che i personaggi sono belli quando sono molto intensi e vivono conflitti interni che noi possiamo comprendere.

Generalmente, quando accetti a scatola chiusa un progetto?

Quando amo una sceneggiatura. Quando stimo un regista, una produzione e un direttore della fotografia. Mi informo sul cast e sui miei futuri compagni di lavoro. Comunque questa soluzione è molto rara. Almeno per me qui in Italia. All’estero per esempio, mi propongono direttamente i ruoli. Sapendo chi sono, mi fanno leggere direttamente le sceneggiature. Ci sono dei registi che conoscono bene il vecchio mestiere del cinema, sanno che un attore è un corpo, un viso, un nome da avvicinare al personaggio immaginato. Però a volte qui in Italia, sembra che i registi cerchino la faccia che si incolli al ruolo, anche se chi viene scelto per il ruolo non ha mai fatto l’attore. Sarà una eredità del neorealismo. (rido) Solo che quegli autori erano dei geni. E allora ecco che oggi tutti pensano di poter fare l’ attore. Io, anche se sono molto conosciuto e stimato, passo per mille provini e selftape che mi sfiancano e mi lasciano nell’incertezza. A volte ti senti anche un pò sminuito. Ti senti un paio di calzini da indossare per la giornata. (rido) Difficile non perdere la fiducia in te stesso. In questo mestiere ci vuole tanta resilienza

Cosa, invece, ti spinge a rifiutare una proposta di lavoro?

Una cattiva sceneggiatura. La sceneggiatura è tutto. Anche dei cattivi attori, escono bene da un film, se la storia tiene. Piano piano stiamo recuperando in Italia questa antica arte con la quale siamo stati maestri. Prima era appannaggio del nostro grande cinema d’autore. Monicelli, Scola, Antonioni, De Sica, Visconti, Pasolini e così via… questi autori collaboravano con gli sceneggiatori. La cosa va contestualizzata è vero. I tempi erano diversi, le idee circolavano in una società che si stava assestando dopo la guerra, la gente si incontrava nei caffè, nelle strade. Gli sceneggiatori, gli scrittori, i registi si parlavano. Sognavano insieme. Osservavano quella società insieme. Poi forse c’è stato un momento di grandissima presunzione o di egocentrismo. I registi italiani di seconda generazione si credevano tutti delle star e raccontavano storie che non interessavano la gente. (rido) Oggi i nuovi produttori e i registi giovani riprendono un percorso di collaborazione. Processo favorito da una nuova linfa produttiva. Certamente perché sono cambiate le leggi sul cinema e sono arrivate nuove forme di produzione, come le piattaforme su internet, che hanno rotto dei monopoli. Quindi, in definitiva, oggi stiamo migliorando e gli sceneggiatori hanno ripreso a collaborare e a scrivere belle storie. Io amo questa categoria di artisti e la invidio anche. Sono loro il nostro cinema. La nostra spina dorsale. La nostra speranza.

Come nasce la tua passione per lo spettacolo?

Da piccolo stavo sempre dietro a mio padre. Mi portava al teatro e al cinema. Il fascino di quella realtà artificiosa e parallela mi incantava. La vita degli esseri umani diventa più chiara, comprensibile. Quasi tangibile. Questo mi ha affascinato. La causa di tutto è sempre o un padre o la madre. Tutte le mie passioni vengono da mio padre, tranne una. Il mare.

Quando hai capito che quella stessa passione si sarebbe potuta trasformare in un vero e proprio lavoro?

Non pensavo di diventare attore. Non era il mio sogno. Io amavo la mia carriera di palombaro della Marina Militare. Vivevo a Comsubin, vicino a Portovenere. Avevo raggiunto il mio sogno, ispirato dal comandante Cousteau. Mi vedevo come un uomo di mare. Ma la morte inaspettata di mio padre però ha riportato in superficie una tempesta misteriosa e incomprensibile. Ho sentito così la vocazione. Io mi sono buttato nel mio dramma, nella mia chiamata, nel mio abisso. Ad oggi il mestiere dell’attore mi ha regalato una vita dignitosa e entusiasmante. Mi ha offerto sempre delle sfide interessanti. Questo viaggio mi ha fatto crescere enormemente come uomo. Sono come Ulisse. Comunque, per tornare a noi, in acqua ci sono tornato e continuo a fare immersioni. Vedi il cortometraggio Mare Nostro che ho scritto, prodotto e interpretato . In più, adesso vado anche in barca a vela.

Tornando indietro, c’è qualcosa che non rifaresti?

L’attore (ride, ndr).

Nella vita di tutti i giorni, quando non lavori, come trascorri la quotidianità?

Amo fare sport e ascoltare musica. Vado in barca a vela, in bicicletta da corsa, faccio immersioni, dipingo, scrivo, studio le lingue. Amo stare con gli amici e le persone che amo. Ma soprattutto amo la lettura di saggi scientifici. Mi affascinano gli studi sulla fisica quantistica e tutte le domande aperte sui buchi neri. La matematica era una mia passione. Sarei stato un bravo scienziato.

Progetti all’orizzonte?

Sono in uscita i film: Una boccata d’aria di Alessio Lauria che ho avuto il piacere di girare con Aldo Baglio e Una preghiera per Giuda regia di Massimo Paolucci di cui sono protagonista. In giro per i festivals ci sarà presto un cortometraggio che amo molto dal titolo Cani con la regia di Matteo Guiducci. Poi ho appena finito di girare un bel film in Sicilia insieme a Michael Ronda e diretto dal regista Giampaolo Cugno. E infine, mi preparo all’uscita della serie From Scratch per Netlix.

In futuro, sul fronte professionale ma anche privato, quali altri obiettivi ti piacerebbe raggiungere?

Vorrei comprare una piccola casa a Roma. Uno spazio che permetta al mio spirito di riposare, di radicarsi. Vorrei costruire un nido dove vivere e dove far crescere le cose belle della vita. La famiglia e gli affetti stabili sono importanti per me. Forse questa casa che sogno, questo spazio di cui sento la necessità, mi permetterebbe anche sul lavoro di essere più creativo, di scrivere i miei soggetti, di realizzare le mie storie, e magari di dedicarmi meglio alla produzione. In fondo comprare una casa è il sogno di tutti gli italiani.