“Présence/Absence” la mostra fotografica di Caimi&Piccinni

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L’assenza è una fotografia in bianco e nero, una narrazione personale, fluida, quasi letteraria, che segnala che qualcosa è rimasto, una presenza, fatta di pezzi mancanti o aggiunti, punti di un racconto emozionale. Presente e passato, la notte e le nebbie della campagna, accompagnate ai volti, sulla cui pelle la natura lascia il suo segno, spazi vuoti e indefiniti uniscono l’intimità delle persone che li abitano. In mostra pop-up dal 21 al 30 gennaio a Roma, Interzone Galleria presenta Présence/Absence, mostra fotografica di Jean Marc Caimi & Valentina Piccinni. Nato dalla inscindibile relazione tra presenza/assenza, il progetto fotografico vuole indagare le connessioni che intercorrono tra la natura e l’uomo.

Il progetto è il frutto di una residenza artistica legata al rinomato festival francese di Deauville Planches Contact con il supporto della Fondation Photo4food e la direzione artistica di Laura Serani. Grazie a questa borsa abbiamo potuto sviluppare una ricerca, iniziata anni fa con altri progetti fotografici, intorno al macro tema del profondo rapporto che intercorre tra uomo, natura e territorio. Abbiamo trascorso un mese in Normandia, viaggiando per 3.000 chilometri, alla ricerca dell’essenza di questa relazione. Lo abbiamo fatto in un periodo straordinario, quando in Francia vigeva un lockdown molto restrittivo. Questo ci ha permesso di essere testimoni di paesaggi sconfinati deprivati dalle folle di turisti, dunque uno scenario più umano, originario. Gli incontri con le persone che abbiamo ritratto e che in qualche modo sono stati anche i nostri traghettatori, sono stati per lo stesso motivo particolarmente intimi e profondi. Una posizione privilegiata, quella dei fotografi, a cui era permesso muoversi quando in pochi potevano farlo, che ci ha dato accesso ad un’umanità desiderosa di comunicare, esprimersi, condividere.

I precedenti lavori legati a questo tema sono stati “Umana Natura”, sul territorio umbro, adesso in mostra al Laboratorio di Cultura Fotografica di Città della Pieve, e due lavori con una direzione più documentaristica che sono il nostro progetto a lungo termine “This Land Is My Land” appena edito in forma di libro dalla casa editrice inglese Overlapse con il titolo “Fastidiosa”, sulla problematica del batterio della Xylella Fastidiosa che ha distrutto completamente migliaia e migliaia di ettari di olivi mettendo in ginocchio economicamente e culturalmente un’intera regione, e “The Burning Plain”, che indaga la tesa relazione dell’uomo con la natura in una città fondata su un supervulcano, Pozzuoli. Il lavoro è stato pubblicato in forma libro da Zine Tonic e stampato da L’Artiere.

Come per questi due precedenti progetti anche Présance/Absance è diventato un libro con il titolo “En Présence de l’Absence” per Editions Bessard.”

Jean-Marc Caimi e Valentina Piccinni collaborano dal 2013 per progetti di fotografia documentaria e personale. Il loro lavoro, focalizzato su soggetti contemporanei, con una particolare attenzione agli aspetti umani di ogni storia, è riconosciuto a livello internazionale. Fra gli altri, hanno ricevuto premi come il Sony World Photography Award nella categoria “Discovery”, il PHmuseum Of Humanity Grant, il premio ISPA (Italian Sustainability Photo Award) e il Gomma Grant per miglior lavoro documentaristico in bianco e nero. Sono regolarmente presenti nella stampa e nei media di tutto il mondo. Hanno recentemente esposto alla Biennale Für Aktuelle Fotografie di Mannheim, al Festival della fotografia etica di Lodi, al SìFest di Savignano, all’International Month Of Photojournalism di Padova, alla galleria La Chambre di Strasburgo. Nel corso degli ultimi anni, le loro storie fotografiche sono state pubblicate in forma di libro da diversi editori, tra questi Witty Books con “Forcella”, Overlapse con “Fastidiosa”, André Frère con “Güle Güle” e Éditions Bessard con “En Présence De L’Absence”, lavoro in mostra.

Il nostro linguaggio fotografico è principalmente incentrato proprio sull’esigenza di dare la possibilità a chi osserva di elaborare e proiettare la propria emotività. La nostra narrazione non è mai lineare. Le immagini sono come frammenti, punti di una storia che può essere ridisegnata più e più volte senza perdere di senso, ma anzi acquisendo sempre nuove sfumature. L’accostamento delle immagini, la loro interazione, il cortocircuito che alle volte scaturisce da questi dialoghi sono a nostro avviso un surplus di significato che genera mistero. Ed è di fronte a questo mistero che chi osserva è chiamato ad interrogarsi e dunque a entrare più profondamente nella storia che stiamo raccontando. Non ci sono verità, non ci sono immagini concluse, ma inviti alla riflessione e all’immaginazione. Dunque infiniti mondi possibili nei quali calarsi.”

Mondi indissolubili che si influenzano a vicenda, spazi che diventano interiorità, intrecci di vita umana, un inclinazione documentaristica che descrive atmosfere sospese e mutevoli capace di lasciare porte aperte senza dare risposte certe, cercando il contatto con il possibile che abita ogni cosa. Un dialogo che è relazione e opposizione di immagini e che mantiene vivo il cordone ombelicale con chi osserva. Le immagini giocano un ruolo fondamentale nell’interpretazione, nel processo di ridestamento della coscienza, la coscienza capace di “dirompere la normalità di questo vivere.” Il soggetto dell’immagine non è percepito ma inteso, è colto attraverso il contenuto che lo rappresenta. Un lavoro che rende enigmatico il familiare generando riflessioni capaci di sospendere la sua funzione ordinaria. Non vengono presentate solo le tensioni dialettiche che intercorrono fra le componenti dell’immagine dei conflitti e contraddittorietà del reale, non solo nella forma in cui è rappresentato. Il soggetto dell’immagine è “assenza presentificata”, l’immagine è dialettica perché “fotografa” le tensioni che intercorrono tra aspetti materiali e spirituali. Andare oltre è la traccia dell’intenzionalità nascosta.

“L’assenza non è forse, per chi ama, la più certa, la più efficace, la più duratura, la più indistruttibile, la più fedele delle presenze?” Marcel Proust

“Per noi l’azione fotografica è sempre andare incontro a qualcuno o a qualcosa. Non è mai esclusivamente autoreferenziale. Le nostre foto sono frutto di incontri con persone e luoghi e l’incontro non è mai una pratica passiva ma è uno scambio. Il viaggio, se inteso in senso lato, è tutto il farsi del lavoro, dall’ideazione, alla produzione, alla realizzazione e alla esposizione.

Un percorso di certo non lineare dove i fattori esterni, la casualità, l’errore insorgono continuamente lasciando il loro segno, deviando la via inizialmente seguita. Nel micro, dunque nella pura fase di scatto, il grado di imprevedibilità è fondamentale e lo cerchiamo e accogliamo utilizzando la pellicola e vecchie macchine fotografiche. Présence/Absence è realizzato integralmente in analogico, sia con le pellicole fotografiche 35 mm che in Super8. Nell’appartamento di Cean che ha costituito la nostra base di appoggio, avevamo installato una camera oscura dove sviluppavamo nell’immediato i rulli scattati durante il giorno o la notte. Una pratica rituale che ci permette di essere ancora di più nella storia che stiamo raccontando nel suo farsi. L’uso di vecchie macchine analogiche e lo sviluppo artigianale delle pellicole riserva sempre delle sorprese: dai light leaks alle macchie di fissaggio, dalla sovrapposizione casuale di due frames alla grana e alla polvere del Super8. Tutto ciò diventa parte integrante del linguaggio, tanto da diventarne alle volte il “punctum” della fotografia.”