Confessioni di un critico: Enrico Magrelli e il suo sguardo aperto al nuovo nel cinema italiano

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Enrico Magrelli è un celebre giornalista e critico cinematografico.  È tra gli autori e conduttori del programma di Radiotre Hollywood Party sin dall’inizio. Fa parte del comitato di direzione del Bifest di Bari. E’ consulente editoriale del Tuscia Film Fest (Viterbo) e dell’Italian Film Festival (Berlino). Per oltre venti anni ha collaborato con la Mostra del cinema di Venezia. Grazie alle sue argomentazioni, figlie di un buon gusto per il grande cinema che lega echi dal passato e nuove terre inesplorate, si è rivelato un attento osservatore del nuovo cinema italiano.  

Com’è iniziata questa carriera e che rapporto ha con l’Enrico Magrelli di oggi?

Se uno comincia a lavorare presto, poi passano gli anni e così diventa non famoso ma riconoscibile. Credo che gran parte della mia riconoscibilità nasca dal programma radiofonico Hollywood Party che assieme ad altri compagni di lavoro porto avanti ormai da ventisette anni e ciò crea un grande legame con chi ti ascolta. Ovviamente mi rendo conto che il tempo sta passando, ma se si ha la fortuna di occuparsi di cinema e di conservare la curiosità, che in questo mestiere è fondamentale, si riesce ad avere gli occhi aperti al nuovo, per cui credo di avere lo stesso sguardo del Magrelli di tanti anni fa. Poi, ciò che mi gratifica di più è l’essere riuscito a trasformare una passione, quella per la settima arte, in un lavoro.

Mi perdoni l’irriverenza, ma perché qualcuno dovrebbe sognare di diventare un critico?

Direi che più che un sogno oggi è un incubo. La situazione della stampa scritta e dei media in generale sono profondamente cambiati rispetto al cinema e continuano  a mutare con un’accelerazione che prima non esisteva, quindi ci si trova immersi in un continuo correre in un mondo che sembra aver innestato una marcia di velocità che invece di scalare, aumenta. Faccio un esempio, questo è il dodicesimo anno del Bobbio Film Festival, per cui lavoro, e mentre va avanti il circuito festivaliero si svolge un seminario di critica in cui dei ragazzi vengono selezionati in base a delle recensioni che mandano come test scritto per essere ammessi, e parlando con loro ho scoperto che non si trovano lì col sogno di diventare critici, salvo rare eccezioni, ma piuttosto interessa loro capire come funziona la macchina narrativa del cinema. Molti vogliono sapere cosa si muove tra le immagini proiettate e come analizzarle. Qualcuno sogna di intraprendere la strada del critico sapendo benissimo che veramente può divenire un serio incubo perché gli spazi si sono molto ristretti, sicuramente ci sono i blog, i magazine digitali, le radio e quindi le occasioni per parlare di cinema sono aumentate ma, paradossalmente, sono diminuiti i posti nell’area lavorativa perché oggi qualunque ventenne può scrivere una recensione su un film dove vuole. Bisogna anche precisare che il cinema oggi non è più un nucleo centrale dell’audiovisivo dato che si parla sempre più spesso di serie, un nuovo linguaggio che sta sostituendo i canoni culturali e strutturali del linguaggio filmico e ciò non è da trascurare, anzi bisogna capirne i codici perché non è che negandole queste cose spariscano nel nulla, casomai il contrario. Purtroppo non sono pensieri astratti, si tratta di trasformazioni che sono evidenti sotto gli occhi di tutti e che il covid ha esaltato e ne ha evidenziato la strada. Quindi avere il sogno di fare il critico è molto romantico, ma può trasformarsi in un incubo ricorrente.

Molti affermano che il nuovo cinema italiano sia in grande ripresa. È veramente così?

Si, io sono convinto che lo sia. In realtà è in ripresa da molti anni. Una volta uscì un pamphlet scritto da un professore universitario il cui titolo era “Il più brutto del mondo. Il cinema italiano oggi”, si trattava di un paradosso polemico. Adesso i dati dei boxoffice dimostrano che il nostro cinema è in forte ripresa, ovviamente gli incassi non sono delle grandi unità di misura ma sicuramente mostrano l’interesse crescente da parte del pubblico. Questa percentuale negli ultimi anni è salita ed è abbastanza stabile, quindi direi che si è ricostituita una fiducia tra lo spettatore ed il cinema italiano. Abbiamo tanti nuovi talenti, dei buoni film, altri non del tutto riusciti però mi sembra che la tendenza sia piuttosto positiva e propositiva soprattutto. Bisogna solo capire se tutto riesca a ripartire nel miglior modo possibile nonostante le difficoltà che la pandemia ci ha posto dinanzi. Infine credo che uno dei tanti sintomi dello stato di buona salute del  nostro cinema sia legata al fatto che prima della pandemia, al primo posto nel boxoffice c’era Zalone con Tolo Tolo e subito dopo, al secondo, Hammamet di Gianni Amelio e quindi, oltre le commedie anche i film d’autore hanno cominciato a riprendere posto tra quelli più attesi della stagione.

Lei lavora nella direzione del Bobbio Film Festival al fianco di Marco Bellocchio. Un festival molto ambito tra i giovani registi.

È un festival-laboratorio, perché per me e Marco Bellocchio è fondamentale che dopo la visione di un film ci sia un confronto e devo dire che anche quest’anno, nonostante le restrizioni, tutte le sere abbiamo chiuso con il sould out. Nel corso degli anni abbiamo ospitato molti registi che poi sono tornati con nuove opere e qualcuno, come Gianluca Iodice con “Il cattivo poeta”, si è ripresentato quest’anno. Per noi è molto importante che i registi siano presenti durante le serate e poi ai dibattiti post-proiezione.

Nel 2020, al Bifest di Bari, ha presentato l’autobiografia del maestro Lino Capolicchio “D’amore non si muore”. Quant’è importante ricordare i grandi che ci hanno preceduto?

È fondamentale, soprattutto quando sono in vita. Bisogna ricordare i classici proprio perché il nostro paese sembrerebbe avere la memoria corta. Dico sempre ai giovani che il cinema non è nato l’altro ieri con Pulp Fiction ma ha una storia enorme, per cui è importante esplorare all’indietro per sapere cos’è accaduto ai film di ieri rispetto a quelli d’oggi, che siano dei blockbuster dei cortometraggi o film d’autore. Un film che amo mostrare ai ragazzi è L’appartamento di Billy Wilder che trovo modernissimo nonostante sia di tanti anni fa, perché ciò di cui si parla è attuale. Il passato è fondamentale perché ci sono attori o registi che magari adesso non lavorano più, ma hanno dato un contributo enorme al cinema e Capolicchio è stato qualcosa di enorme. La sua autobiografia è ricca d’incontri, storie, scelte giuste ed errori che lo rendono ancora più interessante e che sottolineano il fatto che quando lo vedi sullo schermo lo apprezzi maggiormente come figura, oltre che per la bravura attoriale.