Simone Di Crescenzo e la musica come “viaggio spirituale”

0

Simone Di Crescenzo è un pianista, musicologo e studioso del Belcanto. Nel corso della sua carriera è stato responsabile musicale per l′Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti” della Fondazione Paolo Grassi, direttore artistico e responsabile organizzativo per una serie di concerti dell′Orchestra Sinfonica “G. Rossini” di Pesaro, dell’Orchestra dell’Opera Italiana di Parma e dall’Orchestra Italiana del Cinema. Attualmente è consulente artistico per il Festival ed il Concorso “A. Toscanini” presso la Fondazione Arturo Toscanini di Parma.

Lei è uno dei giovani pianisti eredi della tradizione belcantistica italiana” a cui si approccia anche in veste di musicologo. Come spiegherebbe il Belcanto a coloro i quali non si occupano attivamente di musica?

Potrei dare tante definizioni, ma Il Belcanto è prima di tutto una filosofia, un modo di pensare attraverso la musica. Partiamo dalle parole: “bel” “canto”, quindi un canto bello. Cosa significa? È un modo di cantare che attiene all’estetica del bello, il bello ideale nella sua definizione classica. Qui si potrebbero aprire fiumi di discussioni a riguardo, ma volendo semplificare e volendo collocare storicamente una definizione, possiamo dire che il Belcanto è figlio del Barocco e pertanto trae ispirazione da un mondo ideale, lussureggiante e meraviglioso, un mondo anche irreale, in cui dominano edonismo e virtuosismo. Mi piace molto anche la definizione che dà Rossini di Belcanto. Il grande Maestro sosteneva che il Belcanto si compone essenzialmente di tre elementi: lo strumento, ossia la voce, – come uno Stradivari diceva lui -, la tecnica, ovvero il modo di suonare questo strumento, ed infine lo stile, caratterizzato dal gusto e dal sentimento.

Quali sono gli artisti da cui trae maggiore ispirazione?

Per me non sono necessariamente musicisti. L’ispirazione è frutto di un’intuizione e come tale può sgorgare naturalmente anche osservando un quadro, passeggiando in un bosco, leggendo un libro o guardando un film. Ciò che mi guida è il sentimento e quindi la riflessione su quel sentimento, che da istintivo passa ad un piano più razionale, per ritornare poi in un ambito nuovamente istintivo, attraverso la musica. Questa è l’esperienza di quel determinato sentimento, che prende vita come un colore o un suono. Questo è il mistero dell’ispirazione. Ma parlando di artisti viventi e tutt’ora attivi dai quali traggo ispirazione, come pianista c’è Maria João Pires. È un’artista completa, assoluta, nel senso in cui intendo l’arte e la musica. Fra i cantanti, oggi si fa molta fatica a trovare artisti che possano essere fonte di ispirazione. Ma dell’ultima generazione ammiro molto Lisette Oropesa. È la migliore Traviata dei nostri giorni.

Per lei la musica è in grado di connettersi con la parte spirituale dell’uomo? E in quali occasioni le pare sia avvenuto?

Direi che la musica è uno dei veicoli principali di connessione con il mondo spirituale. È un viatico, un mezzo di trasporto multisensoriale. Il suono stesso è costituito da vibrazioni in grado di attivare precise aree cerebrali legate alla nostra interiorità. Quindi per me è sempre un viaggio spirituale. Può accadere in modi e tempi diversi, a volte da spettatore, a volte ascoltando un disco oppure suonando. Queste connessioni ci permettono di allargare il nostro campo percettivo, di vedere la realtà che ci circonda in maniera più chiara, più aperta.

Per Giacomo Puccini l’ispirazione è un risveglio, una fuga da tutte le facoltà umane, e si manifesta in tutte le grandi conquiste artistiche. Secondo il suo parere, da dove proviene l’ispirazione, l’intuizione geniale che porta alla costruzione di grandi opere? E che potere ha sulla musica?

Come cercavo di spiegare prima, è un flusso di pensieri che passano da un livello interiore ad uno razionale e viceversa. L’ispirazione proviene da un’intuizione. Un collegamento fra ciò che siamo, ciò che siamo stati e balzi in ciò che saremo. Così attraverso il pensiero creativo, che ha una grandissima connotazione spirituale, si possono costruire capolavori. Di certo tutto questo ha un potere sulla musica, nel momento in cui la musica viene inventata, creata, ma direi che il potere è anche nella musica stessa. Ovvero la musica può essere per alcuni artisti il mezzo attraverso il quale arrivare ad intuizioni su un piano visivo, meccanico, poetico, costruttivo. L’ispirazione è l’anima stessa della musica, sia quando un compositore crea un’opera, sia quando un interprete la rappresenta. È quel legame intangibile fra l’artista, l’opera e la realtà circostante.

Lo scorso mese è scomparso Antonio Rostagno, celebre musicologo e pianista imperiese, nonché suo maestro. Qual è il più delicato ricordo che ha di lui e cosa le rimane della sua figura?

Il Professor Rostagno è stato una guida per molti musicologi della mia generazione. Un Maestro nel più alto senso del termine: tutta la sua vita è stata dedicata alla ricerca e all’insegnamento. Instancabile, infaticabile, sempre propositivo, costruttivo. La stima reciproca è nata fin dai primi mesi in cui entrai in Dipartimento, quando seguivo con interesse le sue lezioni. Filosofia, arte, letteratura, musica, tutto era collegato senza soluzione di continuità in un discorso fluido, brillante, a tratti geniale. Parlavo poco fa di intuizioni, ecco Rostagno era l’uomo delle intuizioni. Conservo con grande affetto il ricordo prezioso delle ore trascorse insieme a discutere di opera, di musica pianistica, di interpretazione, di metodologie. L’ultimo ricordo che ho di lui è legato alla sua ultima apparizione in pubblico. Un convegno che abbiamo fortemente voluto entrambi, organizzato presso l’Università di Parma nell’ambito del Festival Toscanini 2021. È stato il suo ultimo testamento, in quell’occasione parlava della diversa lettura di due grandi direttori del Novecento, Toscanini e Furtwängler, dell’Otello verdiano. È stata l’ultima occasione in cui abbiamo parlato: nella sua voce un saluto malinconico, presagio di ciò che purtroppo sarebbe accaduto pochi mesi dopo. A lui posso solo essere grato per tutto ciò che ci ha lasciato.