Dentro la geografia dello sguardo, Aldo Feroce e la fotografia

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ph. di Aldo Feroce

Elegante, studiata, ricercata così come ricercate sono le storie che racconta. La fotografia di Aldo Feroce ha una propria vena narrativa, un percorso che passa attraverso le persone che fotografa: “Se non conosco nulla di loro non le fotografo, non ho alcun motivo per farlo, un racconto esce fuori quando scatta un interesse o un amore a farlo.

Il suo rapporto con la fotografia ha due date, due periodi distinti. Il primo è quello della scoperta, della passione e della giovane età, il secondo è quello della consapevolezza. Dopo aver perso il lavoro, la fotografia lo ha accolto tra le sue braccia. L’inizio sono le fotografie di cerimonia, successivamente frequenta corsi in una scuola di fotografia per cercare di perfezionare quello che aveva assimilato da autodidatta.

“Inizialmente dai miei scatti desideravo una conferma. Poi ho iniziato a dedicarmi soprattutto ai reportage, sentivo una passione e una predisposizione per questo genere di fotografia. Nei miei lavori intendo soprattutto poter documentare la mia visione. Sono curioso dei luoghi e delle persone e di poter trarre dalla mia esperienza un punto di incontro che mi faccia avere una chiara idea di ciò che vedo. Stare dalla parte dei più deboli diventa una ricerca quasi costante. Sono loro che hanno bisogno della giusta e corretta visibilità.”

Corviale è uno dei suoi progetti più pubblicati, il luogo dove Aldo è nato e vive ma è anche un progetto lungo circa 7 anni, frutto di tanta esperienza e dell’evoluzione del suo linguaggio fotografico. Un viaggio dentro le periferie che scava a fondo, cercando un’umanità ricca di legami: essere parte del luogo per far conoscere la realtà e sopravvivere alle problematiche entrando in contatto con forme nuove di interazione sociale. L’identità fragile e incerta, in continuo divenire sono le immagini di un processo creativo che esplora le trasformazioni possibili, generando nuova energia. La sua è un’operazione di confine, nutrita di racconti, di microstorie, abitata da esperienze personali e incontri veri. Nel raccontarci queste storie Aldo, con la sua fotografia coglie un attimo nel tempo e nello spazio e nel momento in cui viene scattata supera limiti fisici e temporali diventando oggetto di connessione tra culture e luoghi distanti. Si svela la realtà in modo nitido, puro.

“Il nuovo Corviale, chiamato anche “Serpentone”, è un Palazzo lungo circa 1 km che sorge in periferia ovest di Roma, nato alla fine degli anni ‘70 per fronteggiare la crisi abitativa. Sin dalla sua nascita questo luogo è stato sinonimo di degrado e delinquenza soprattutto per un malessere gestionale, tanto da farlo diventare uno dei quartieri simbolo di Roma. Io che ho fotografato la sua nascita nel 1977, ho deciso 30 anni dopo, di entrare per cercare di documentare in modo non stereotipato la vita del palazzo. La storia vede uomini e donne catapultati in un luogo privo di infrastrutture, con addosso ancora le ferite causate dallo strappo dello sfratto di massa, costrette a convivere per forza o per ragione. Persone che hanno dovuto riorganizzare la loro vita con mille difficoltà, cercando di reinventarsela, di colorarla, di viverla con nuove regole e soprattutto con il fai da te. Mentre da anni si parla di riqualificare il Corviale, facendo progetti sulla materia. Il mio intento è quello di dare voce e far conoscere l’umano o meglio gli “invisibili” di cui nessuno mai parla“.

Una passione che porta addosso il gusto di una rivincita, Aldo entra dentro lo scatto, con lucidità e una narrazione pulita ed esteticamente appagante, intreccia storie attraverso composizioni fotografiche, l’uso della luce e del colore definiscono l’immagine che in punta di piedi diventa fotografia, frutto di grande esperienza praticata sul campo. Luoghi, persone e storie sono sempre al centro di ogni suo progetto. “Dare voce agli invisibili” attraverso la fotografia che come una carezza agli angoli dimenticati del mondo in cui passiamo davanti ogni giorno, senza mai guardarli, ci invita a pensare per immagini a rinnovare quotidianamente lo stupore ad inseguire la geografia dello sguardo e a fermarci dove questo ci porta. Le sue fotografie mostrano il bisogno di creare nuove mappe emotive, di tracciare “l’interiorità del fuori”, evidenziando come identità e differenza siano categorie fluide, continuamente interscambiabili. Fotografare e scrivere diventano così modi complementari di chiedere a luoghi feriti dall’indifferenza e dall’incuria di tornare a fidarsi degli uomini, di tornare a farsi vedere e ascoltare. Una poetica dello spazio della “traccia” e del “richiamo”. Riflettendo sulla soglia del visibile e invisibile, sui limiti della rappresentabilità e della conoscibilità del reale, su ciò che è parte dell’umanità e su ciò che lo trascende, Aldo scrive la sua fotografia come una terapia dal linguaggio universale.