“Le difettose” il racconto divertente e amaro di Eleonora Mazzoni sulla maternità

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Quante donne si sentono o vengono considerate “difettose” per non riuscire a realizzare uno dei desideri (apparentemente) più naturali e semplici? E’ intorno a questo quesito che si sviluppa il romanzo Le Difettose di Eleonora Mazzoni, racconto divertente e amaro di un mondo multiforme e misterioso, quello della maternità. Il libro, dopo il successo ottenuto nel 2012 con la prima edizione, in questi giorni è tornato sugli scaffali di tutte le librerie con una nuova ristampa (Einaudi). E, ancora oggi, ci dona uno spaccato veritiero, e non convenzionale, della nostra contemporaneità.

Eleonora, cosa ti ha spinto, dieci anni fa, a scrivere un romanzo sulla maternità?

La vita stessa, direi. Fino a 38 anni non ho sentito il bisogno di procreare. Come tante “postponers” (come vengono chiamate oggi), non ci pensavo e rimandavo, credendo, in un’epoca come la nostra in cui l’età ha assunto una dimensione liquida, di avere ancora tanto tempo davanti a me. Non mi rendevo assolutamente conto che di lì a poco mi sarei potuta ritrovare a esclamare tra le lacrime, come nella famosa e divertente vignetta di Lichtenstein: “Oh, mio Dio! Non ci posso credere: ho dimenticato di fare i figli!“. Così, quando a un certo punto ho incontrato un compagno con cui mi sono seriamente posta la domanda “ma un figlio lo voglio, sì o no?”, mi sono ritrovata, quasi a mia insaputa, ormai agli sgoccioli. Per questo nel mio romanzo di esordio ho messo in scena Carla Petri che, a 39 anni e 3 mesi, dopo svariati tentativi naturali andati a vuoto, cerca un figlio attraverso la procreazione medicalmente assistita. Con tutto un corollario di conflitti: il tempo, appunto, e i ritardi… nei suoi molteplici significati! Ma anche la lotta tra una cultura che ci spinge a realizzarci sempre più in avanti e la natura che, indifferente agli stili di vita cambiati, ci dota di una fertilità che è rimasta quella dei tempi delle caverne, anzi è andata via via scemando. La scienza che ha fatto passi da gigante ma comunque non è in grado di garantire nessun risultato. E, sopra a tutto, il desiderio. Cosa significa desiderare un figlio. Come si è trasformato questo desiderio oggi. Che vuol dire nella nostra attuale società voler diventare genitore.

Quanto è ancora attuale questo libro a distanza di anni?

Penso che lo sia più adesso che allora. Non solo perché l’età in cui si decide di fare un figlio sta salendo sempre di più – in Italia in modo eclatante ma anche in tutto il mondo cosiddetto occidentale. Non solo perché l’infertilità sta aumentando e, con essa, anche il ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Ma proprio per quel focus sul desiderio di mettere al mondo un figlio. Ho cercato di raccontarlo a tutto tondo, anche nelle ambivalenze. Ma senza rimozioni. Liberandolo da condizionamenti, retoriche, pressioni esterne. Per coglierlo nell’essenza.

Se dovessi descrivere Le Difettose con tre aggettivi, quali sarebbero e perché?

Contemporaneo, lieve, umano. Contemporaneo perché mi sembra che sia uno spaccato veritiero e non convenzionale del mondo multiforme e misterioso della maternità oggi, sia naturale che artificiale. Lieve per il tono. Umano perché – esattamente come quello di uno dei personaggi del libro, Seneca, con cui Carla instaura dei dialoghi immaginari – anche il mio punto di vista vuole essere laico, non ideologico, attento all’uomo così com’è, non come dovrebbe essere.

Un aspetto, spesso trascurato, dell’infertilità è il percorso della coppia…

Sì, infatti. Già il sesso sincronizzato, privato della spontaneità, organizzato “proprio in quel giorno”, addirittura “proprio in quell’ora”, è de-erotizzante. Nella procreazione assistita tutto diventa ancora più medicalizzato e asettico: sale d’attesa, camere di ospedale, ambulatori, aghi, anestesia. Si rischia una scissione tra mente e corpo, sessualità e procreazione. Tra uomo e donna. Occorre poi aggiungere la rabbia che una diagnosi di infertilità inevitabilmente consegna, come un senso di ingiustizia subita, la perdita dell’autostima, l’ansia di fallire, la paura di deludersi a vicenda, i sensi di colpa. I rimpianti. Magari tutte queste cose nella coppia covavano già prima. Ma la ricerca di un figlio le riporta a galla. E le accentua. Si arriva a un allontanamento affettivo con incomprensioni, recriminazioni, silenzi. Addirittura a una ricerca di conferme al di fuori della coppia. Ma, paradossalmente, ci si può pure ritrovare e unire ancora di più. Il dolore è una tappa fondamentale e ineliminabile, ma non è l’orizzonte ultimo. Attraversandolo e attivando le proprie risorse personali Carla e Marco, alla fine de Le Difettose, approfondiranno la loro relazione. E diventeranno generativi. Aldilà del figlio.

Nella nostra società, quanto è ancora difficile comprendere che una donna possa decidere, invece, di non avere figli?

Sembra strano ma ancora nel 2021 viene accolta con incredulità o addirittura con ostilità l’idea che alcuni esseri umani preferiscano non riprodursi. Persiste uno stigma sociale. Come se una coppia senza figli fosse più a rischio – anche se, statisticamente, è proprio il contrario. E una donna fosse più irrealizzata. Come se avesse osato violare un millenario ordine universale. Bisognerebbe imparare, al contrario, ad essere madri e padri in tanti modi. Non solo in senso biologico.

La maternità ha bisogno di un nuovo vocabolario?

Dici bene quando parli di vocabolario. Occorrono parole nuove. Come tutte le faccende umane, anche il concetto e l’esperienza della maternità è in costante mutazione. E oggi contiene più sfaccettature. La nostra lingua ha bisogno di vocaboli che siano capaci di raccontarla, pensarla, interpretarla. Sennò restiamo smarriti e confusi. Siamo ancora ancorati a modelli ingombranti di madre onnisciente e onnipotente di stampo risorgimentale, che tanto ci sopraffanno, ci creano sofferenza e non ci fanno sentire all’altezza. Perché il mondo nel frattempo è cambiato. Sono cambiate le donne. I rapporti tra i sessi. Il rapporto tra genitori e figli. Donald Winnicott, geniale psicoanalista inglese, è stato uno dei primi, ad esempio, a liberare la figura materna dal peso grevissimo dell’infallibilità. Scriveva: “sarebbe d’aiuto chiarire alle madri che può capitare di non provare immediatamente amore per i propri figli o di non sentirsela di allattarli. Oppure spiegare loro che amare è una faccenda complicata e non un semplice istinto”. Proprio partendo dalla propria esperienza di infanzia infelice con una madre che soffriva di depressione, la madre che lui tratteggiava non era perfetta ma solo “sufficientemente buona”, vale a dire con ansie e preoccupazioni, con avvilimenti e limiti, approssimazioni e stanchezze. Ma di strada da fare ce ne è ancora molta.

Cos’altro bolle in pentola per Le Difettose?

Oltre ad essere diventato uno spettacolo teatrale, con la regia di Serena Sinigaglia e l’interpretazione di Emanuela Grimalda, che è stato replicato in giro per l’Italia per diverse stagioni e, Covid permettendo, ancora lo sarà, ho scritto il soggetto per una serie televisiva. I diritti cine-televisivi del romanzo sono stati comprati dalla Clemart e insieme alla produttrice, Gabriella Buontempo, ci stiamo lavorando. Incrociamo le dita!