Massimiliano Sturiale, tra estetica e artigianato. Lo scenografo di Freaks Out

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Massimiliano Sturiale è un grande scenografo ma prima di tutto è un artista dall’elevata visione estetica. Nel corso della sua variegata carriera ha lavorato su una moltitudine di importanti set, dal cinema alla televisione, finendo più volte in cinquina ai David di Donatello. Tra i più importanti spiccano come fari Lo Chiamavano Jeeg Robot, Viva la sposa, La stanza. In attesa dell’uscita di Freaks Out, Sturiale ci ha introdotti nel suo lavoro raccontandoci la sua collaborazione con Gabriele Mainetti. 

La scenografia rappresenta per un attore lo spazio in cui il personaggio si materializza assieme al mondo di cui fa parte. Lo scenografo ha una grande responsabilità estetica?

Il mio lavoro consiste nel capire il pensiero del regista, cosa c’è dietro la messa in scena e cosa si aspetta poi di vedere, chiaramente ci sono tante tipologie di lavori, ad esempio si può essere esecutori se il regista in quel caso ha le idee chiare e attraverso le sue spiegazioni ti porta  nel suo mondo facendo diventare tutto  più semplice ciò che verrà rappresentato. Altrimenti, se il regista è meno espressivo nei confronti di ciò che ha in mente allora entra la tua creatività per cercare un’intuizione sul racconto.

Hai avuto nel tuo percorso dei maestri o dei padri ispiratori?

Nel nostro ambiente fai riferimento ai film che vedi, alla cultura che ti fai e un po’ tutto ciò che ti circonda. Qualsiasi persona con cui ho lavorato mi ha lasciato qualcosa. Questo è un lavoro fatto di esperienza e quindi più lo vivi e più ne trai forza.

Qual è stato il set più difficile da allestire?

Guarda, i lavori più grossi che ho fatto sono ancora in uscita, purtroppo. Se non ci fosse stata la pandemia sarebbero usciti in sala e tra questi sicuramente quello di Gabriele Mainetti, Freaks Out,  indubbiamente è stato il più complicato. Poi ho girato l’ultimo film diretto da  Sergio Castellitto dove abbiamo ricostruito una piazzetta francese nel Teatro n°5 di Cinecittà ed è stato un lavoro meraviglioso, anche perché costruire in quel luogo è un’esperienza fantastica e poi è il teatro più grande e più bello che abbiamo in Italia, sicuramente dà una certa importanza a ciò che fai. Il set è stato molto faticoso ma è anche il bello di questo lavoro, più grande è la salita e più grande dev’essere l’impegno che ci metti.

Nel 2016 esce nelle sale Lo chiamavano Jeeg Robot, film che ti condurrà addirittura ai David di Donatello. Com’è stata la lavorazione ?

Dietro c’era un regista che voleva mostrare un modo di fare cinema  totalmente diverso rispetto alla filmografia a cui siamo abituati. La cosa difficile è stata mettere in scena quest’idea, perché non siamo abituati a fare un certo tipo di effettistica così complicata, non siamo abituati in senso pratico, non per capacità. Qui parliamo di una pellicola dove in ogni scena c’erano effetti speciali e stunt, ogni giorno c’era qualcosa di grosso da mettere in moto. Gabriele è un regista molto esigente nella messa in scena, quindi è bello lavorare con lui perché sa cosa vuole e te lo spiega in maniera precisa.

Questa però non è stata l’unica esperienza condivisa con Gabriele Mainetti. Cosa è accaduto dopo Jeeg Robot?

Quasi tutto ciò che ha fatto Gabriele è stato realizzato assieme a me perché è nato un legame professionale e quindi abbiamo lavorato a diversi progetti, anche un corto/spot sulle sirene dal titolo Ningyo con Alessandro Borghi. La bellezza di affrontare un film del genere è proprio la collaborazione, al di là dei reparti fotografia e costumi con cui lo fai abitualmente. In questi casi devi poter lavorare con effetti speciali Vfx, Sfx e stunt e quindi l’opera diventa più corale e, come in una grande orchestra, bisogna saper cooperare.

Quindi, un artigiano del cinema si mette a disposizione del direttore dell’opera, lasciandosi guidare in un percorso che seppur ignoto condurrà verso un’ispirazione.

Purtroppo nel cinema ci sono troppe prime donne e hai perfettamente ragione quando dici che siamo artigiani, lo siamo prima ancora che artisti. Se perdiamo l’umiltà diventa difficile anche la comunicazione con gli altri, il nostro lavoro ti mette alla prova e solo lavorando in squadra si possono portare a casa dei buoni risultati.