Stefano Rapone, come è cambiata la comicità nonsense

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Il mondo della comicità di Stefano Rapone è tra il surreale e il grottesco. Tra gare di burlesque e “applausi ai partigiani, che furono dei degni avversari”, l’infanzia come sex symbol per i clochard di Termini. È un tipo di stile che unisce quella tradizione italiana tra Campanile e il nonsense. Questo tenore della stand up come i suoi sodali di Tutta roba fresca possiamo descrivere Stefano Rapone tra i rappresentanti più interessanti del cambiamento della comicità italiana.

Negli ultimi anni abbiamo visto un cambiamento nella scena comica italiana. Cosa ne pensi?

Fondamentalmente è nato tutto da un bisogno di trovare qualcosa che esulasse dal tormentone o da un modello dominante di comicità leggera che era fatta per intrattenere un pubblico televisivo più vasto possibile ma che non parlava ai ventenni dell’epoca. Poi col tempo ci siamo resi conto che non tutta la comicità straniera è necessariamente controversa o di alta qualità e che un po’ di leggerezza non è che faccia poi tanto male. Insomma, l’importante è che ci sia varietà e che si possa scegliere su cosa ridere.

Il suo stile è molto particolare rispetto alla scena comica. Come è nato?

A me non sono mai piaciuti quelli che con tutta la sicurezza di essere dalla parte giusta salgono sul palco a giudicare chi si salva e chi no. Nella vita sono pieno di dubbi e cerco un po’ a tentoni di crearmi una visione coerente delle cose, il tutto unito a una sensazione di disagio perenne nelle situazioni sociali. Quindi quando ho dovuto tradurre questa cosa in un personaggio comico ho pensato che mi sentissi più a mio agio a rappresentare non una persona che ha la soluzione ai problemi del mondo ma essere anch’io parte del problema. Mi smarca da una serie di ansie. Per il resto, mi definisco una brava persona.

Che ricordo hai della tua esperienza a “Battute”?

Mi ricordo una gran fatica. Era difficile trovare idee divertenti ogni giorno e soprattutto c’era poco tempo per scrivere, quindi cercavamo di farlo in tutti i ritagli di tempo: sul furgoncino che ci portava agli studi, in mensa, a volte anche a ridosso della registrazione. Poi miracolosamente qualcosa di valido usciva fuori e si andava in onda. Però era divertente e tra tutti noi si è creato un bel rapporto di amicizia che continua ancora oggi.

Dal Lockdown in poi partecipi attivamente al Podcast Tintoria con Daniele Tinti

Penso che Daniele Tinti sia il nuovo Fabio Fazio di questa generazione. Io ci collaboro solo per fini opportunistici, perché punto invece a diventare la prima Filippa Lagerback italiana! Per il resto è un podcast in cui si intervistano persone dell’ambiente comico, musicale. Le puntate più belle sono quelle in cui l’ospite non parla del suo mestiere o dei suoi progetti, ma si cazzeggia. Se proprio dovessi scegliere una puntata, quella in cui Obama rivaluta la figura di Indro Montanelli.

Oltre alla attività della stand up hai svolto numerosi progetti nell’ambito del fumetto

Quello a cui sono più affezionato è Marco Travaglio Zombi, un fumetto satirico che parla di Marco Travaglio che diventa zombi e come prima cosa uccide Michele Santoro, per poi uccidere vari personaggi del giornalismo italiano. Sono affezionato anche a Natale a Gotham, dove Batman si ritrova in un mondo in cui i cattivi sono interpretati da personaggi della commedia all’italiana.

E sul Politically correct?

Il politicamente corretto è bellissimo. Come dice il comico Stewart Lee: “È una forma di buona educazione istituzionalizzata”. Siamo in un momento storico in cui alcune minoranze cercano di puntare i riflettori sulle discriminazioni che subiscono. Ma se fai capire che il tuo fine non è discriminare, generalmente anche il pubblico più sensibile lo capisce e te lo lascia fare. Insomma, come recita l’adagio: “Se vuoi rompere le regole devi prima conoscerle”.