Il prossimo 10 novembre saranno trascorsi tre anni da quando Ray Lovelock concludeva serenamente la sua vita, sereno e appagato per averla condotta sempre nella direzione da lui scelta.
Il padre
“E’ stato lui ad accompagnare e preparare noi alla sua scomparsa” ricorda l’amatissima figlia Francesca, da cui lo separavano solamente 21 anni e che lo descrive come un padre-amico, sempre presente, nonostante gli impegni di lavoro lo portassero spesso fuori casa, ma una volta assolti con il massimo scrupolo, sempre a quella casa anelava tornare, da moglie e figlia, senza alcuna concessione ai salotti o alla mondanità.
Inglese (suo padre era britannico) nella signorilità, italiano nella cordialità, americano nei personaggi da duro che incarnava. L’essenza di Ray Lovelock si potrebbe racchiudere in questa virtuosa mescolanza tra le migliori virtù di tre popoli.
L’attore
Già a 17 anni, nel 1967, assaggiò il western, filone dove il cinema italiano fece scuola, con Se sei vivo spara. Il ruolo da duro gli rimase ammantato addosso per molti anni, a lui, così gentile e di animo nobile.
Nell’anno della contestazione lo chiamò Carlo Lizzani nel suo Banditi a Milano ma è con Cassandra Crossing, thriller tratto da un romanzo di Robert Katz, che si consacrò.
I poliziotteschi non sempre hanno avuto vita facile a giudizio della schizzinosissima critica italiana, ma lui fece in tempo a godersi la rivalutazione del genere, a differenza di altri suoi colleghi attori o registi, riabilitati solamente post-mortem.
“Soprattutto grazie a Tarantino- il ricordo di Francesca- il genere è stato riscoperto. Un giorno vennero a intervistarlo proprio sui poliziotteschi e fortunatamente è riuscito a godersi un pezzetto di questa rivalutazione. Lui comunque ha sempre avuto affetto per ogni genere di film a cui ha preso parte, perché ha sempre potuto scegliersi i ruoli, recitando sempre con dignità e senza rinnegare nulla. L’unica cosa che non amava erano i fotoromanzi, nei momenti in cui era costretto a farli per arrivare a fine mese”.
Il calciatore
Il calcio era la sua seconda grande passione. Tifosissimo della Lazio, si è perso purtroppo la stagione appena conclusa in cui i biancocelesti, soprattutto prima della sospensione del campionato, sono stati serissimi pretendenti al regno della Juventus. Portò Francesca per la prima volta sugli spalti a soli 3 anni. Il pallone avrebbe potuto essere la sua carriera, a 14 anni era stato selezionato a due provini: per una squadra di calcio e per uno spot con Gianni Morandi. Scelse il cinema ma, come suo costume, non rinnegò mai il calcio, declinandolo anche come strumento per fare beneficienza attraverso la nazionale attori, di cui fu un instancabile protagonista.
Prese il suo commiato dagli amici proprio con una partita di calcio a Trevi. Lui, già malato e debilitato, raccolse tutte le sue residue forze per essere presente a quell’ultimo incontro con il suo mondo. Fatto quello, si spense serenamente, una settimana dopo.