Pensare e scrivere liberamente, senza se e senza ma

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Foto di Luisella Planeta Leoni da Pixabay

Riportiamo l’articolo di Alessandro Sallusti pubblicato sul numero di maggio di CulturaIdentità che potrete ancora trovare in edicola.L’intervento del direttore del Giornale si concentra sul proliferare di commissioni etiche e comitati e task force governative che decidono ciò che è vero e ciò che è falso in merito a notizie e opinioni di attualità: qual è la verità? E come si fa a smascherare il falso? (Redazione)

Da qualche millennio l’uomo si interroga sul concetto di verità senza riuscire a dare una risposta univoca, convincente e condivisa. I fisici – semplifico – hanno deciso di cavarsela definendo vero solo ciò di cui è dimostrabile il contrario: si può dire con certezza che il sole scalda perchè senza sole percepiamo il freddo. Un concetto banale ma allo stesso tempo troppo complicato per un uso quotidiano nel quale trovare la prova contraria è spesso impossibile. Un metro di misura potrebbe quindi essere che “è vero ciò che accade”, punto. Ma purtroppo (sarebbe bello) non è così: una somma di fatti veri, cioè accaduti, non necessariamente porta a una verità. Se mettiamo in fila dieci fatti realmente accaduti nella vita di qualsiasi persona ed escludiamo tutti gli altri che la riguardano possiamo tranquillamente far passare per santo un assassino e un assassino per santo (è la tecnica preferita dalla cultura di sinistra ben applicata dai giornali che la diffondono) senza tema di smentita. Faccio un esempio personale. Mio nonno Biagio, ufficiale del regio esercito, fu condannato a morte nel ‘45 per aver presieduto suo malgrado il tribunale che l’anno prima aveva condannato a morte il partigiano Giancarlo Puecher. Questo è quello che si legge sui libri di storia ed è la pura verità. Ma nessuno scrive con altrettanta chiarezza, e quindi nessuno sa, che il giovane Puecher aveva partecipato, insieme a tre compagni, a un agguato in cui furono uccisi a sangue freddo due giovani fascisti e che solo grazie alla mediazione di mio nonno con il rappresentante dell’accusa, tre partigiani (i compagni di Puecher) salvarono la vita, come risulta da numerosa e indiscutibile documentazione. Quale è la verità fattuale ed etica di questo caso? Un bel rebus, non c’è che dire, irrisolvibile perché i fatti della vita e della storia non sono mai “one shot” ma al tempo stesso figli e padri di altri fatti in una catena infinita nella quale si alternano eroismi e tragedie. Da qui, per la gestione umana della verità, la necessità di semplificazioni. Nelle dittature si stabilisce in maniera coercitiva che è vero ciò che decide e dichiara il regime, e la cosa finisce lì. Nelle democrazie, perché siano tali, la verità può essere invece anche un atto di fede o un punto di vista. È cioè riconosciuto che esiste una verità soggettiva altrettanto plausibile di quella ufficiale e che se non costituisce minaccia all’incolumità altrui non può essere ingabbiata dentro codici e leggi figlie del tempo e delle mode sociali e politiche. Attenzione, anche in democrazia la rilettura della storia e la lettura della cronaca sono condizionate (a volte imposte con furbizia come nelle dittature) dal vincitore “democratico” di turno, basti come esempio quello di far credere che l’Italia fu liberata dai partigiani comunisti e non, come accaduto in realtà, dagli eserciti angloamericani. Ma detto questo in una democrazia compiuta il pensiero, e le parole che lo esprimono, devono restare liberi e non penalmente sindacabili, tantomeno perseguibili o imbavagliabili (non a caso questo concetto è il primo emendamento della Costituzione americana). Liberi di pensare e di sostenere pubblicamente che Dio esista o non esista, che la terra sia piatta o tonda, che si debba andare a destra o sinistra, che le ondate migratorie siano una opportunità da prendere o una minaccia da scongiurare, che il Coronavirus sia un’arma segreta cinese o una vendetta di Dio. E qui veniamo al punto. Questo proliferare di commissioni etiche (la più nota è quella parlamentare denominata Segre) per indagare sui pensieri che si discostano dalle verità ufficiali o che più semplicemente si permettono di contrapporre loro altre verità, questi comitati insediati per decidere ciò che è vero e ciò che è falso su notizie e opinioni riguardo a temi di attualità (è appena successo per il Coronavirus) cosa hanno a che fare con la democrazia e con la verità? . La risposta è semplice: nulla. Il rischio che con la scusa della crisi economica e sanitaria ci venga sottratto, in nome di nobili principi, un pezzettino alla volta la libertà di pensiero è più pericoloso della povertà e del virus stesso. Fino a che il pensiero è libero tutte le altre libertà possono essere o tornare. Sanzionare il pensiero è l’anticamera della perdita della libertà fisica – le carceri delle dittature sono zeppi di dissidenti – e non è un caso che i nostri corpi e comportamenti stanno per essere affidati, con la scusa della sicurezza sanitaria, a della app gestite da un giudice supremo senza volto. Così come peggio di un colpevole in libertà c’è solo un innocente in carcere, peggio di una fake news c’è soltanto un pensiero impedito, represso o sanzionato. Per questo il diritto a “pensare liberamente” , a “scrivere liberamente”, a “informare liberamente” deve essere la madre di tutte le battaglie, senza se e senza ma.

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8 Commenti

  1. ma glielo avete detto a Feltri che a volte deve pero’ limitarsi ???o al Belpietro nazionalpopolare ??

  2. se e’ per quello c’e’ certa destra che ancor oggi commemora la nascita di itler o di mussolini…e se non erano criminali quelli…

  3. Io,insegnante di EDUCAZIONE FISICA,corressi,spiegando i fatti alle alunne,un testo che raccontava la morte del fratello di Pasolini,come eccidio fascista.Né Preside né Colleghi di Lettere o Storia se ne erano minimamente
    occupati.

    • Egregio Sallusti,
      al sacrosanto diritto di scrivere ed informare “liberamente” se me lo consente qualche SE e qualche MA lo aggiungerei, altrimenti passa la logica secondo la quale viene considerato “diritto” anche quello di disinformare e diffamare. Un esempio (uno fra i molti); se lo ricorda il caso di Murat Kirik e di sua moglie Nejla? Se, come immagino, nel caso specifico la memoria le fa difetto provvedo a farle un riassunto per quanto possibile breve. Gennaio 2017, una giovane coppia di sposi è di transito in una struttura sanitaria pubblica di Imperia per quello che dovrebbe essere il “lieto evento” per eccellenza ovvero la nascita di un bambino. E così è, tant’è che il nascituro, anzi la bimba, gode di ottima salute ma la compagna di stanza della neo-mamma viene spostata altrove. Motivo? “Mia figlia è stata spostata, perché il marito della sua compagna di stanza, un turco, non voleva altri uomini e visto che c’era anche mio genero, alla fine l’hanno trasferita”, questo stando a quanto dichiara in un gruppo Facebook locale la madre della puerpera dislocata. Risultato? Caso nazionale alimentato dal consigliere ligure della Lega Alessandro Piana che chiede un’interrogazione in consiglio regionale dichiarando: “Il gravissimo fatto di razzismo ai danni di una giovane mamma di Imperia e dei suoi famigliari dimostra la disparità esistente anche nelle nostre strutture pubbliche. Difendiamo le nostre donne dai folli dettami dell’islam”, e tutto ciò nonostante la direzione sanitaria avesse provato a smorzare i toni dichiarando che lo spostamento nulla aveva a che vedere con motivazioni di carattere etico, religioso o culturale. Nei social si scatena la gogna mediatica contro la giovane coppia e, più in generale, contro gli immigrati e i musulmani, una campagna d’odio che trova spazio anche su queste pagine dopo la pubblicazione dell’articolo dal titolo -“Un turco ha fatto spostare mia moglie”. Polemica all’ospedale di Imperia- (https://www.ilgiornale.it/news/cronache/nessuno-pu-vedere-mia-moglie-ospedale-turco-fa-spostare-1356411.html) con consueto corollario di commenti al vetriolo di stampo razzista. Alla fine la direzione dell’ospedale è praticamente costretta a venire parzialmente meno alle basilari norme sulla privacy dichiarando che la puerpera era affetta da una lieve patologia contagiosa e che il cambio di stanza si era reso necessario per tutelare l’altra neo-mamma. Sarà grazie al quotidiano online Imperia Post che tutta questa odiosa bufala verrà smontata pezzo per pezzo in particolare dopo l’intervista al Sig. Murat Kirkik, che per la cronaca è un geometra 29enne di origine turca, cresciuto nel nostro paese da quando aveva 4 anni e che si sveglia ogni mattino alle 5.00 per essere puntuale sul posto di lavoro ad Antibes in Francia (https://www.imperiapost.it/228084/sono-io-murat-un-imperiese-come-voi-quello-che-avete-insultato-tutto-il-giorno-ci-metto-la-faccia-perche-non-ho-nulla-da nasconderelintervista). Verrà addirittura organizzata una raccolta firme da far pervenire al consigliere leghista Piana affinché vengano offerte pubbliche scuse alla coppia (il consigliere si dice addirittura disponibile ma…siamo ancora in attesa). E questo giornale? “Pensare e scrivere liberamente, senza se e senza ma”… che detto da un giornalista qualche timore lo genera dato che per INFORMARE, ovvero svolgere il suo mestiere, tra il “pensare” e lo “scrivere” io ci aggiungerei anche “verificare” altrimenti siamo al livello delle migliaia di individui che quotidianamente diffondono fesserie in rete semplicemente perché hanno una tastiera ed una connessione che li rende in grado di farlo. Ma soprattutto, nonostante aver pensato, verificato e scritto, ci si accorge (speriamo in buona fede) di essere stati veicoli di DISINFORMAZIONE, che si fa? Signor Sallusti, esiste la RETTIFICA! Nel caso in oggetto questo giornale si è preso la briga di rettificare che, lungi dall’essere una coppia di integralisti islamici, Murat e Nejla sono stati vittime di menzogne tanto più disgustose in quanto caratterizzate da odio religioso ed etnico? Ovviamente no… evidentemente rivendicate anche il diritto di non rettificare le bugie che avete diffuso attraverso questo giornale. Per concludere caro Direttore, l’aforisma «Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo» è valido fin quando dimostri di credere a quel che scrivi. Se invece questo nascondersi dietro il sacro principio della libertà di stampa e di parola è finalizzato allo sdoganamento di fake news, disinformazione e prese in giro nei confronti della gente, beh… questa “madre di tutte le battaglie” sicuramente la combatterà senza di me.

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