Se ne stava comodamente sdraiato su un divano di lino bianco immerso in un ambiente asettico e impersonale. Da una finestra luminosa e quasi invisibile poteva ammirare lo skyline di una città che si perdeva nelle nebbie della periferia. L’uomo sembrava rilassato e assorto nei suoi pensieri. Ma non pensava, perché non sempre gli riusciva e costava fatica. Gli bastava sentirsi arrivato e appagato da tanto lusso che lo attorniava.
Abitava un un’appartamento al decimo piano del Bosco Verticale, un grattacielo progettato e realizzato per gente come lui nel centro della città, nel cuore della Milano che conta.
Non dimenticava mai di magnificare la sua casa, così perfetta ed esclusiva, come amava ripetere, così irraggiugibile, come amava pensare.
Ed era vero che il suo Bosco verticale era unico e irripetibile. Una tecnologia all’avanguardia governava ogni aspetto e movimento per aprire e chiudere programmando tempi e modi. La sicurezza era senza sbavature. Nessuno avrebbe potuto insidiare la privacy, in un silenzio controllato come se ci si trovasse in un ritiro spirituale.
Quando aveva voglia di stare all’aperto andava sul terrazzo e si immergeva nel suo verde. Aveva piante selezionate secondo l’esposizione e poteva contare sulla cura vigile di un giardiniere esperto e sempre disponibile.
Insomma, una macchina perfetta che non si inceppava mai. Ogni tanto una manutenzione di routine e niente di più.
Però se doveva uscire era un problema. Doveva lasciare questo mondo dorato e immergersi nella città incontrollabile e imprevedibile. Se si allontanava anche di poco, poteva incontrare nello spazio pubblico sotto il grattacielo qualcuno che non aveva il suo aspetto, la sua grinta, la sua sicurezza. Poteva incontrare l’altro, la sua faccia nascosta e sconosciuta.
Allora tornavi nel tuo mondo dorato a cercare conforto e qualche fungo nel tuo bosco privato. Ma non lo trovavi.