Rita Pavone: “Quella notte Elvis mi disse: You are great!”

1

Cantante, attrice e showgirl, Rita Pavone ha venduto più di cinquanta milioni di dischi in tutto il mondo incidendo in sette lingue diverse. Ed ora, la grintosa artista evergreen, dopo il vinile del brano che ha presentato all’ultimo Festival di Sanremo il 28 febbraio esce, sempre per BMG, con un interessante doppio cd, raRità.

Il suo brano a Sanremo Niente (Resilienza74) parla di un momento difficile e della resilienza. Quando le è capitato di vivere un momento in cui si è accorta di essere resiliente?

Tutta la mia vita è stata una resilienza, un ascensore che sale e che scende, una grande gioia e poi magari un dolore. Tutti noi durante il corso della nostra esistenza passiamo dei momenti in cui avremmo bisogno di un bosco che ci circondi e che ci protegga in qualche maniera, e delle volte invece è proprio il bosco che ci toglie il respiro perché i rami sono intricati. Ogni persona passa dei momenti difficili, e la resilienza è saper accettare questi momenti, affrontarli, combatterli e qualche volta anche vincerli. Io ho amato profondamente questo testo perché mi ci identifico, ma ho anche capito che avendolo scritto lui qualche problemino doveva averlo vissuto. E questa cosa mi ha fatto anche molto riflettere.

Mio figlio ha scritto una cosa per sé che io condivido in pieno. Inoltre mi ha riportato alle mie origini musicali, quelle che non sono riuscita a proporre durante gli anni del grande successo. È stato un passo in dietro che in realtà è un passo in avanti. Questa canzone è tutto ciò che avrei voluto cantare quando ero ragazzina, anche se quelle del passato sono state scelte di grande successo. 

Il 28 febbraio è uscito un doppio cd raRità dove ci sono dei suoi brani inediti mai apparsi in Italia che hanno raggiunto alte vette nelle classifiche di tutto li mondo. Perché non erano mai usciti in Italia?

Una volta quando si faceva un Lp su quindici-sedici brani se ne sceglievano dodici, e talvolta i gusti di quelli della discografia magari non erano esattamente i tuoi. Così capita ci siano dei brani che rimangono delle perle che si sono perdute. In cinquantotto anni di carriera ho inciso per sette etichette diverse e non tutte prendevano canzoni italiane, qualcuna la traducevano per adattarla al loro mercato discografico. Un giorno, ad esempio, è capitato che sono andata al cinema con mio marito a vedere Jesus Christ Superstar e mi sono accorta che Erode cantava una canzone che conoscevo. Poi mi sono ricordata: originariamente l’avevo incisa io!

In questo doppio CD della BMG ci sono delle canzoni straniere che non conosce nessuno e delle canzoni italiane che hanno fatto, con suoni diversi, un altro tipo di vita all’estero. E sono tutte cantante da me.

Alcune sono delle rarità perché non si sono mai sentite, come il duetto con Lucio, e dietro ogni brano c’è una storia che racconta un momento musicale con alcuni personaggi che sono stati importanti per la mia vita di artista

La grintosa artista evergreen, dopo il vinile del brano che ha presentato all’ultimo festival di Sanremo, esce con un interessante doppio cd, "raRità".

Lei ha avuto tanto successo in Italia e tanto all’estero. Qui in Italia si è mai sentita un po’ sottovalutata?

Negli altri paesi quando si è raggiunto un apice non devi dimostrare più nulla. Da noi come diceva Eduardo De Filippo “gli esami non finiscono mai”. Bisogna entrare in questa ottica, e dirò che non è neanche male perché se a Sanremo mi avessero invitata come ospite io non mi sarei divertita come mi sono divertita. L’ospite è già una battaglia vinta: se vado lì con il mio repertorio, fatto di una serie di successi, ho già vinto la serata, perché sono pezzi che cantano tutti. Io invece volevo mostrare che Rita è moderna, è attuale, ha i piedi piantati per terra e vuole mettersi in gioco perché ha ancora delle cose da dire musicalmente. E ringrazio Amadeus per averlo capito. Se la voce mi tiene, ed è fresca come adesso, io sono ultra felice perché posso fare ancora delle cose che non sono riuscita a fare prima e che arriverò a fare dopo i settantacinque anni. A settantacinque anni si comincia a belare come le pecorelle, il diaframma non regge più. Invece, grazie a Dio, il diaframma funziona benissimo, e spero di fare cose che mi possano divertire e che possano divertire gli altri.

In America ha persino conosciuto Elvis Presley. Che ricordo ha?

Negli Stati Uniti ci sono arrivata perché Ed Sullivan, che all’epoca aveva uno show importantissimo, mi aveva visto in Italia a Studio Uno e mi aveva voluto nel suo programma televisivo.

In quel periodo in America ho fatto due passaggi molto importanti la domenica in diretta e ho registrato tre Lp. Il terzo lo avevo fatto a Nashville, con uno dei più grandi produttori di Elvis. In quell’occasione, durante la sessione di registrazione, in un momento di pausa, ho sentito il nome “Presley”. Allora ho detto: me lo fate conoscere? Mi è stato risposto di no: era difficilissimo perché il colonnello Parker, il suo manager, non permetteva di avere nessun contatto con l’artista prima di un’incisione. A quel punto ho fatto il piantino (avevo diciannove anni, ma sembrava ne avessi dodici fisicamente). Così, inteneriti mi hanno detto: se fai la brava bambina ora vediamo come fare. Hanno cercato di convincere il colonnello Parker per farmi presentare Elvis. E la sera, a mezzanotte, quando lui è venuto ad incidere, io ero lì. Entrando ha salutato tutti, poi si è fermato e mi ha fatto: io ti conosco, tu sei la ragazza italiana! Si è avvicinato, mi ha dato un pizzicotto sulla guancia e ha detto: you’re great!

Io avevo le ginocchia che andavano per i fatti loro, ho biascicato qualcosa in inglese per chiedergli se potevo avere una sua foto. Lui ha fatto di più: mi ha regalato una tela con una sua dedica e mi ha lasciato con un sorriso dicendo: fai un buon lavoro!

Conoscere Elvis è stato un momento davvero importante.

Poi ho conosciuto tante altre star: Diana Ross, Orson Welles, Tom Jones…una miriade di personaggi che non avrei mai pensato nella mia infanzia di poter un giorno incrociare, e addirittura condividere un palco. È stata una grandissima gioia per una ragazza di Torino, che viveva in periferia, conoscere quelli che fino a ieri vedeva soltanto al cinema.

La grintosa artista evergreen, dopo il vinile del brano che ha presentato all’ultimo festival di Sanremo, esce con un interessante doppio cd, "raRità".

Ma come è nato il suo desiderio di fare la cantante?

Mio padre mi disse che già a due anni mi mettevano su un tavolo e cantavo una canzone che andava di moda allora, messicana. E una volta salita non volevo più scendere. Era già sintomatico di una volontà di stare su un palco.

Poi ho iniziato a nove anni a farlo in maniera più completa: facevo gli avanspettacoli.

Io incominciato ufficialmente nel ‘62 ma in realtà avevo una gavetta alle spalle lunghissima.

Ero una ragazzina che amava tantissimo la musica americana perché i cantanti americani si muovevano in un modo in cui noi non facevamo. In Italia a Sanremo erano tutti compiti, fermi davanti un microfono. Il primo a muoversi fu Modugno che con Volare aprì le braccia, e poi Celentano che voltò la schiena.

Mi racconta un episodio OFF degli inizi della sua carriera?

Mio padre è stato il mio più grande estimatore e devo tutto a lui, la sua genialità e la sua fiducia nei miei confronti. Io ero piccolina e vivevo in un mondo in cui andavano le maggiorate come Sofia Loren, Ava Gardner, Silvana Mangano, ed era molto difficile fare carriera. Allora mio papà mi ricordo quando avevo quattordici-quindici anni aveva conosciuto un fotografo che mi faceva delle fotografie dove apparivo leggermente più grande, più adulta. Però poi tutto finiva quando le persone a cui lui mandava le fotografie mi vedevano di persona. E tutte le volte dicevano: ma è questa la cantante?

Partendo dai piedi in su non ci voleva molto, perché ero proprio piccolissima. Mio padre allora lì combatteva e diceva: sentitela cantare prima di decidere!

 E infatti dopo avermi ascoltato mi confermavano sempre e riuscivo a lavorare in tutti i locali. Ma ogni volta che venivo valutata un po’ come i cavalli che gli guardano la bocca mi sentivo amareggiata, perché più che sentire la voce guardavano la fisicità. Questo mi dava leggermente fastidio. Poi questa cosa col tempo non mi ha più toccato, perché credo che le persone valgano per quello che sono: non è essere alti ma essere all’altezza.

E io sono sempre stata abbastanza all’altezza anche perché faccio un mestiere che adoro. Lo faccio per divertire me stessa, per gratificarmi. E scopro che gratificandomi riesco anche a gratificare e divertire gli altri, che è un grande dono. Io il mio non lo considero un lavoro.

Cosa pensa di un cantante come Achille Lauro che fa parlare di sé soprattutto per il look?

Achille Lauro è sicuramente un genialoide, ha delle grosse carte ed è anche un personaggio molto tenero e rassicurante. Nella vita è molto pacato, tranquillo. La sua forma riprende quella di David Bowie prima maniera e di un primissimo Renato Zero. È una formula che parte forse dai travestimenti per poi trovare il proprio stato di artista come fece Bowie. Io credo che ognuno debba fare la propria strada come la sente. Lui la sente così e piace alla gente, e io non ci vedo nulla di strano e di anormale. È un modo di proporsi che trovo attraente in questo momento, perché i giovani non conoscono il Renato Zero di quaranta anni fa. Il suo è un proporsi in una formula diversa ma che ha similitudini col passato, come Renato le aveva con Bowie. Ognuno fa le sue scelte e lui ha fatto la sua scelta.

Lei è sempre stata una ribelle, un po’ come Gian Burrasca, il suo personaggio nel film. Quale è stato l’atto più rivoluzionario che ha fatto nella sua vita?

Sicuramente sposare un uomo più grande di me che era già stato sposato in un momento in cui il divorzio non c’era. Ho rischiato molto, ma come diceva Oscar Wilde “è meglio avere dei rammarichi che dei rimpianti”.

Io sapevo che se avessi perduto quel treno la mia vita sarebbe stata totalmente diversa.

Ed ora a marzo festeggerò 52 anni di matrimonio.

Il mio mestiere mi piace da morire, lo adoro, vivo per quello che faccio, però la mia famiglia conta più di tutto: sai che hai tre persone che ti amano profondamente, con le tue virtù ma anche per i tuoi sbagli, per i tuoi errori. Aver creato un nucleo familiare per me è stato importante. Poi tutto il resto è un’aggiunta.

Sui social c’è chi l’ha chiamata la cantante sovranista…

Io non ho ancora capito cosa voglia dire sovranista. Sono una persona che fa la sua vita, che ama il proprio Paese anche se vive in un altro Paese. Abito in Svizzera da 50 anni, ho un doppio passaporto ma amo le mie origini, ho i miei genitori sepolti a Torino e i miei fratelli che vivono lì. Ci tengo a dare la mia opinione su delle cose. Non è accettata? Va bene, vorrà dire che non la scriverò. Esprimerò il mio pensiero quando voto.

Dove la vedremo prossimamente?

Sto lavorando per dei progetti televisivi ma soprattutto per tornare a fare dei concerti live, in Italia e all’estero, perché quello che mi interessa di più è il contatto con la gente.

1 commento

  1. ma chissenefrega di Rita Pavone in cerca di nuova visibilità. Sarà simpatica, ma la pianti di sforzarsi di essere anche lei con la coscetta in fuori, ché tanto è solo patetica…Però va detto che non è mai stata una comunista, e solo per questo è simpatica.

Comments are closed.