Favino: “Sono stato un anarchico e un fascista”

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fonte pierfrancescofavino official

Lo abbiamo appena visto nella sua straordinaria prova d’attore nel film Hammamet. Lui é Pierfrancesco Favino e abbiamo deciso di rendergli omaggio proponendovi questa sua intervista decisamente off (Redazione) 

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favinoNastri d’Argento, David di Donatello, “attore di razza al servizio delle fiction di qualità”, ad Hollywood tutti ti amano, ma io ti chiedo di raccontarmi un episodio off degli inizi della tua carriera

Ero al secondo anno di accademia, e la casting Chiara Meloni cercava attori per un film tv tratto da Una questione privata di Beppe Fenoglio con sceneggiatura firmata da Raffaele La Capria, e dal giovane assistente Paolo Virzì. Mi provinarono per il ruolo di protagonista, ma il regista Alberto Negrin non era convinto dei miei colori, così mi fece tingere i capelli rosso carota. Non venni preso per quel ruolo, ma per un altro, che fu comunque la mia primissima esperienza lavorativa

Galeotto fu il capello color di carota!

Sì, anche se per un bel po’ di tempo nascosi i capelli sotto al cappuccio (ride). All’epoca ero vergine di qualsiasi dinamica lavorativa, non sapevo assolutamente cosa volesse dire stare su un set, avere un agente, mi stavo ancora formando. Il mio ingresso è stato da una parte importante ma dall’altra anche traumatico.

Tornando ai tuoi esordi, debutti in tv nel 1991 con Una questione privata, poi nel 1995 al cinema con Pugili di Capolicchio. Cosa c’era, rispetto ad oggi, in quel ragazzo che interpretava il dolcissimo infermiere nello sceneggiato Rai Amico mio?

(ride) Molta ingenuità, tanto entusiasmo, impegno nel cercare di realizzare al meglio un sogno più inconsapevole di quanto possa esserlo oggi. Poi via via tutto questo si è arricchito di nuove sfide, consapevolezze, di una crescita come uomo e attore. Anche perché più cose ti accadono nella vita, più sei in grado di comprendere le nature diverse delle vite degli uomini, che poi in fondo sono quelle che tentiamo di raccontare. Penso comunque di aver fatto un percorso organico, crescendo piano piano, e con la gavetta. Non ho mai bruciato i tempi volendo sostenere ruoli per cui non ero pronto.

Concordo, un successo tutto meritato. Parlando della fiction su Gino Bartali, mi ha colpito una tua frase: “oggi c’è chi per capire come si vive in fabbrica va sul web, ma il mio mestiere ha a che fare con il corpo, prima ancora che con la mente”.

Sì, è così, le emozioni passano attraverso il proprio corpo, anche se molto spesso non siamo in grado di capirne il perché. Per questo per Bartali mi sono fatto 5.000 km in bicicletta. Avrei potuto anche solo immaginare cosa volesse dire essere in difficoltà da un punto di vista fisico o affrontare una salita, ma viverlo col corpo è stato completamente diverso.

Ti sei anche chiuso in una stanza con tutte le foto di Bartali appese alle pareti

Sì, è vero. Bartali aveva un viso davvero espressivo. Ma questa è una vera e propria tecnica di studio, che utilizzava anche Gian Maria Volonté. Un modo per concentrare i propri sforzi di immaginazione attorno a ciò su cui si sta lavorando

Immagino quindi tu adesso sia ferratissimo di ciclismo…

(ride) Mica tanto. Pensa che quando finimmo le riprese sulle montagne della Romania presi la bicicletta e la frullai. Fu uno sforzo talmente notevole che non ne potevo più. Ma per ogni ruolo è sempre così, c’è il momento in cui ti concentri sulla storia che stai per affrontare e il momento in cui senti invece il bisogno fisico di staccartene.

Anche lo sport alle volte racconta cambiamenti culturali. Per esempio sempre parlando di ciclismo, mi viene in mente che il doping una volta era normale

Se guardo le immagini di come all’epoca arrivavano a fine tappa, faccio fatica a pensare che fosse solo per merito dell’adrenalina… Le bombe dell’epoca erano sicuramente diverse da quelle di oggi, forse più artigianali. Ma questo non toglie che qualcosa fosse utilizzato. Va detto comunque che quella generazione di sportivi aveva una forza e uno spirito incredibili.

Sempre a proposito di successi televisivi, sei reduce dall’interpretazione dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Ecco, Ambrosoli è stato ucciso per aver scoperchiato un sistema politico e finanziario corrotto. Ironia della sorte proprio in queste ore Roma è coinvolta in uno scandalo. Cosa ti senti di dire a caldo, visto che Roma fa anche parte della tua storia?

Roma è il centro della politica, non va demonizzata la città, quanto piuttosto il sistema. Ambrosoli era stato chiamato per fare giustizia, per fare in modo che chi frodasse i clienti venisse punito. Ma questo dovrebbe rientrare nell’idea di giustizia. È assurdo che chi crede nella giustizia debba essere considerato un eroe civile. Dovrebbe essere la condivisione naturale di un Paese che si stringe attorno a delle regole. Se delle coerenza si fa un eroismo, allora mi viene in mente ciò che diceva Brecht nella Vita di Galileo “sventurata la terra che ha bisogno di eroi”. È triste che l’esempio di Ambrosoli debba essere considerato unico, singolare. I sistemi economici di Sindona (banchiere siciliano che ordinò l’uccisione di Ambrosoli, ndr) ci sono ancora adesso, attraverso strumenti bancari e finanziari considerati perfettamente legali, e che possono essere offerti a ognuno di noi. La crisi di Monte dei Paschi di Siena, Tanzi non sono realtà così distanti da quelle “scatole vuote” di Sindona che lo fecero apparire genio della finanza.

Tu hai prestato il volto a tanti personaggi forti, a volte anarchici a volte su versanti politici di altra ideologia. Ma personalmente come ti collochi?

Io penso che un attore possa avere sì le sue idee politiche, ma sia poi chiamato a considerare anche i paradossi dell’essere umano. Io nel mio percorso artistico ho fatto Bartali ma anche il Libanese (nella serie Romanzo Criminale, ndr), Pinelli ma anche un fascista. Nel momento in cui affronto un personaggio metto da parte il mio credo politico, anche perché la prima cosa che un attore non deve fare è giudicare il personaggio. Certo, pur avendo le mie idee, posso dirti che non sono chiamato ad esprimerle. Sono tre legislature infatti che non scelgo il Presidente del Consiglio. Ma forse il mio credo e quello degli italiani non sono considerati così fondamentale per far progredire la macchina politica.

Domanda più leggera: sei legatissimo a tua moglie Anna Ferzetti, sei papà, però per lavoro hai amato sotto le lenzuola cinematografiche delle gnocche pazzesche, da Alba Rohrwacher a Monica Bellucci. In rete gira un video diventato virale e fatto sul set del film Stretch che mostra il “making of” di una scena di sesso fra Patrick Wilson e Brookliyn Decker. Beh, è un video pazzesco, in cui si vede palesemente il malcelato disagio dei protagonisti negli istanti che precedono un ciak hot.

(ride) Direi più che altro estremamente imbarazzante.

E se ti chiedessi i “making of” dei tuoi amplessi cinematografici?

Nessun “making of”! Solo la possibilità di avere accanto partner validissime che sanno scindere la vita reale dalla finzione, e registi in grado di essere non morbosi.

Dichiari quindi vinta la tua paura del nudo?

Ma sì, penso ci siano nudità ancora più imbarazzanti.

Da uomo a uomo: una donna che ameresti sotto le lenzuola cinematografiche?

No, non chiedermelo, sarebbe ingiusto nei confronti delle eventuali altre donne, e anche nei miei rispetto a questo tipo di domande

Colpito e affondato. Prima di lasciarci, ricordiamo agli amici di OFF che sarai in scena al Teatro Manzoni di Milano dal 9 al 31 dicembre con “Servo per due”, una commedia musicale diretta e interpretata da te, che rivisita in chiave moderna il “Servitore di due padroni” di Goldoni. Cosa possiamo dire per convincere le persone a venire assolutamente a passare il Veglione di Capodanno con te?

Ma io sono l’oste e il vino è chiaramente buono (ride). Facciamo così: cercate sui social network i commenti di chi ha pagato il biglietto per vedere lo spettacolo, e se vi convincono, allora varrà davvero la pena passare anche il 31 con me (ride).

Allora saranno tutti al Teatro Manzoni, perché la critica è ottima. Tanta merda per lo spettacolo, e complimenti. Sei un grande.

(ride) Grazie mille Gabriele, e grazie a te.

8 Commenti

  1. Se questo qua viene definito un bravo attore, allora significa che ho fatto benissimo a eliminare il cinema italiano degli ultimi 30 anni.

  2. Favino ha fatto un film con Brad Pitt (world war z) ha interpretato il padre di Marco Polo nella omonima serie di Netflix e sono le due cose che mi vengono in mente, ma è un attore molto apprezzato all’estero.. certi commenti rabbiosi mi sembrano patologici…

  3. Sono tutti bravi non appena, e non si sa come, arrivano alla notorietà, ma non sanno cosa significhi essere un vero attore ! Tra lui e la “bionda svizzera “ridolini”, sono solo dei presuntuosi incapaci. Povero teatro, povero cinema, poveri italiani…!!!

  4. Complimenti, proprio un bel titolo ambiguo!!!!!!!! Se non avessi letto l’intervista avrei creduto che Favino è stato anche fascista! Certo di sti tempi non è proprio una novità ma almeno salviamo l’etica quando componiamo i titoli.

  5. Ma che vuol dire essere fascista? Come si fa a dire ad uno che è fascista? Come faccio a capire di essere fascista?
    Se voglio bene al mio paese, sono fascista?
    Se chiedo il rispetto delle leggi, sono fascista?
    Se chiedo scuola, giustizia, P.A. più efficienti, sono fascista?
    Se chiedo che chi viene in Italia sia riconoscibile, abbia dei documenti, non delinqua e risponda a delle regole condivise prima di mettere il piede in Italia, sono fascista?
    Se chiedo che le pensioni siano pagate in modo proporzionale a quanto versato, sono fascista?
    Se penso che il nucleare sia una buona forma di energia, sono fascista?

  6. sarai pure tra i più bravi attori italiani ma inconfronto alla scuola anglo americana bhe c’e un abisso di caprio e’ nettamente più bravo di te.

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