Romanzo storico, giallo, fantasy. Secondo certa critica, tre generi che hanno ormai detto tutto, dinosauri editoriali che si trascinano per inerzia mettendo in scena sempre le medesime maschere: legionari instancabili, commissari immalinconiti e i soliti draghi. E alzi la mano chi talvolta non ha avuto la stessa impressione.
Certo, affermarlo così su due piedi appare inevitabilmente un po’ snob. Ma pensarlo quando si cercano novità in libreria – dove dagli scaffali ammiccano quasi sempre i soliti cliché – beh, forse è più giustificato.
Ben vengano dunque uscite come Percussor. I delitti del Reame Pisano (NPS Edizioni, 2019, 214 pg., 14 Euro), del toscano Marco Bertoli, che rappresentano, in mezzo al piattume imperante, il tentativo di sparigliare a dovere le carte. Anche imbastardendo, se serve, filoni già rodati.
Il Seicento pisano scelto come ambientazione della storia potrebbe, a prima vista, insospettire, e non sembrare altro che una strizzata d’occhio un po’ ruffiana agli scenari di Marcello Simoni. Ma l’impressione dura poco.
Mano a mano che si procede con le pagine, infatti, ai lettori è svelata una versione alternativa dell’antica Repubblica marinara, assai diversa da come la racconta la Storia ufficiale. Una ucronia, la chiamerebbero i critici di cui sopra, uno scenario immaginario, capace però di apparirci a volte più plausibile di quello reale.
Invece d’essere finita nelle grinfie dei rivali fiorentini, Pisa è così dipinta come un reame autonomo, guidato nientemeno che dai discendenti del famigerato conte Ugolino della Gherardesca. E dove c’è un trono – si sa – ci sono intrighi. E le persone muoiono, nobili o meno che siano.
Se a questo punto giallo e storia si sono già abbondantemente mischiati, ecco arrivare l’ingrediente finale, l’aggiunta fantastica menzionata in apertura: a indagare su complotti e cadaveri eccellenti, che rischiano di far saltare gli equilibri all’ombra delle Torre pendente, troviamo non investigatori qualunque, ma stregoni e negromanti di stampo barocco, con un inatteso quanto gustoso codazzo di comparse d’ogni tipo.
Arrivati a questo punto, i puntigliosi e i puristi avranno già storto il naso un paio di volte. E a dirla tutta, con questi ingredienti, il rischio che Percussor somigliasse in parte a un minestrone indigesto effettivamente c’era. Il merito di aver salvato la portata, rendendola invece gustosa, è quindi da attribuire al bilancino con cui l’autore ha saputo dosare tanto ricostruzione storica fittizia quanto delitto classico e buona scrittura.
Certo: difficilmente Percussor riuscirà a salvarci dall’ennesimo ispettore con accento regionale. Ma da penna abituata a destreggiarsi fra generi diversi, Bertoli dimostra con i suoi maghi pisani come si possa condurre egregiamente una trama non banale, riuscendo in più di un caso a stupire anche chi è più addentro ai meccanismi della narrazione.
Stupore. Non è proprio quello di cui sentivamo la mancanza all’inizio?