Il Futurismo, quella distruzione creativa di forme e colori

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"Futurismo", la mostra a Palazzo Blu di Pisa
Giacomo Balla, Forme grido viva lItalia

Il Futurismo arriva a Pisa. Colori e dinamismo. Dissacrazione e armonia.

Distruzione delle vecchie regole e bellezza di forme e colori. Lo si vede in quelle opere esplosive che animano, con una ventata di modernità, le sale di Palazzo Blu dove si è appena inaugurata la mostra Futurismo (11 ottobre 2019-9 febbraio 2020, catalogo Skira). Oltre cento opere, giunte da 29 tra collezioni pubbliche e private, raccontano la poetica del movimento, nato ufficialmente a Parigi il 20 febbraio 1909 con la pubblicazione su “Le Figaro” del famoso Manifesto del Futurismo.

Marinetti, il fondatore, poeta e scrittore, voleva abbattere tutta la cultura artistica precedente e creare un’arte nuova legata alla vita moderna, che era movimento, velocità: “Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un ‘automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un‘automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”, affermava nel Manifesto, in cui demoliva i musei: “Musei: cimiteri!… Identici, veramente, per la sinistra promiscuità di tanti corpi che non si conoscono. Musei: dormitorî pubblici in cui si riposa per sempre accanto ad esseri odiati o ignoti!”.

 "Futurismo", la mostra a Palazzo Blu di Pisa
Giacomo Balla, Pessimismo e ottimismo

In realtà non tutto veniva così drasticamente demolito, anche se un’arte nuova, dinamica, coraggiosa stava nascendo. La rilettura del Manifesto è interessante, perché questa mostra, curata da Ada Masoero, “si propone, per la prima volta, di provare come i più grandi fra gli artisti futuristi seppero rimanere fedeli alle riflessioni teoriche enunciate nei manifesti, traducendole in immagini dirompenti, innovative”. Ogni opera “è stata selezionata per la sua qualità e per l’aderenza ai principi del Futurismo” e “tra gli artisti si sono scelti solo i firmatari”, dei vari Manifesti che furono, si sa, più d’uno in relazione alle diverse arti.

Emerge un percorso tra capolavori, che copre un trentennio, dal 1910. Ogni sezione è intitolata a un Manifesto. All’inizio alcune opere divisioniste del primo ‘900 ricordano la genesi del movimento in ambito divisionista, quella pittura d’avanguardia creata con punti, linee, fili, nata a fine XIX secolo.

Tutti i primi firmatari del Futurismo (Marinetti, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini) si erano formati in quella cultura, con maestri come Segantini e Previati. Lo racconta in apertura, tra gli altri, un suggestivo pastello di Boccioni con La madre del 1907.

 "Futurismo", la mostra a Palazzo Blu di Pisa
Gino Severini, Danseuse

Poi gli anni dieci e oltre del ‘900, con la fondazione del Futurismo e i due manifesti, il Manifesto dei pittori futuristi dell’11 febbraio 1910 e La pittura futurista. Manifesto tecnico dell’11 aprile 1910, ricordati da una serie di dipinti dai tratti vari, divisionisti, astratti e geometrici, ma tutti improntati al nuovo dinamismo: dal Profumo di Russolo, allo Studio di testa femminile di Boccioni, alla sua Carica dei lancieri, dall’acquerello con Automobile +velocità + luce di Balla a L’autobus di Gino Severini a Forme Grido Viva l’Italia del 1915 di Balla.

Il Manifesto tecnico della scultura futurista dell’11 aprile 1912 apre ad opere che risentono degli incontri parigini dei futuristi con il Cubismo avvenuto nell’autunno del 1911 e nel febbraio del 1912. Sotto l’influenza cubista si solidificano le forme pittoriche futuriste e si dinamizzano ancora di più le sculture che si dilatano nello spazio come nello Sviluppo di una bottiglia nello spazio, una scultura del 1912 di Boccioni o nel dipinto acceso di colore Corpo umano (Dinamismo) del 1913 dello stesso artista. Forme sinuose, morbide, compatte, dinamiche fanno di Boccioni il mago e maestro del Futurismo.

Sfilano nelle sale gli altri Manifesti, della letteratura futurista, delle parole in libertà, dell’architettura, dell’arte meccanica del 1922 e tutti gli altri sino al Manifesto dell’aeropittura del febbraio del 1931, ciascuno accompagnato da testimonianze straordinarie. Persino la guerra, con drammi e brutture, diventa “poesia futurista”.