Le Marche sono una terra ricca d’arte. Nonostante disastri e terremoti, la regione, già dotata dalla natura, continua a stupire per il suo patrimonio artistico. Lo dimostra la rassegna appena aperta alla Pinacoteca Civica Bruno Molajoli di Fabriano (An).
“La luce e i silenzi. Orazio Gentileschi e la pittura caravaggesca nelle Marche del Seicento” (2 agosto-8 dicembre 2019) è la quinta e ultima del progetto, “Mostrare le Marche” che ha visto sei importanti mostre in diverse città (Loreto, Macerata, Ascoli Piceno, Fermo, Matelica) tese a promuovere la conoscenza e lo sviluppo dei territori colpiti dal sisma del 2016.
Perché Fabriano? Perché l’antica cittadina è stata nel passato crocevia di incontro di grandi artisti giunti da diverse parti della penisola e dall’estero. Uno di questi è certamente Orazio Gentileschi, l’ombroso toscano, anzi pisano, che ha portato la luce del suo caravaggismo addolcito in tutta Europa, da Roma a Genova, da Parigi a Londra. Ma non è l’unico.
Con lui ci sono una serie di personalità emergenti, note e meno note, che trovano finalmente connotazioni precise dopo anni di studio: lo straordinario Giovanni Francesco Guerrieri, Giovanni Baglione, Antiveduto Gramatica, Bartolomeo Manfredi, l’intrigante Bartolomeo Mendozzi, già Maestro dell’Incredulità di San Tommaso, Valentin de Boulogne, Giovanni Serodine, Giovanni Lanfranco, e tanti altri. Pittori caravaggeschi, di alta levatura, che interpretano Caravaggio nei primi venti -trent’anni del Seicento con un proprio linguaggio.
La mostra presenta una sessantina di capolavori con nuove proposte attributive e scoperte documentarie. Perché “La luce e i silenzi”? chiediamo alla professoressa Anna Maria Ambrosini Massari, curatrice con lo storico dell’arte Alessandro Delpriori. «Per l’atmosfera di questi dipinti, giocati sulla luce, violenta o soffusa, immersa in un silenzio irreale, metafisico».
Vero. Basta guardare Gentileschi, presente con quasi tutte le stupende pale marchigiane (altre, insieme agli affreschi, sono rimaste nella cattedrale di San Venanzio e nella chiesa di San Domenico). È proprio negli anni di Fabriano, 1613-1619, in concomitanza con l’attività per i Savelli ad Albano Laziale, che l’artista trasforma la ruvida parlata toscana e il suo primo caravaggismo in uno stile elegante, lirico, dal sapore quasi emiliano. Ecco in una sala, la sensuale Santa Maria Maddalena penitente per la confraternita dei Cartai. Un volto sofferente tra i lunghi capelli in uno scenario roccioso. Un’opera dal forte carisma.
Ma non è sola, con lei ci sono altre magnifiche Maddalene, una più strepitosa dell’altra, come quella di Guerrieri, firmata e datata 1612, inserita in una natura morta fatta di tessuti lucenti, pietre levigate, la tazza per l’unguento simile a una zuccheriera ottocentesca. E poi c’è quella dello stesso anno di Baglione, con le sue fascinose nudità. E quella del 1622 di Simon Vouet con due ammiccanti angioletti: la sapevano lunga nel Seicento. E ancora la Maddalena dolente di Guido Cagnacci. La sala delle Maddalene, di grande impatto, è una mostra nella mostra.
Ma per tornare a Gentileschi, ecco la sua parata di opere in un’altra sala. Ci sono tutte: la Circoncisione del 1607 per la chiesa del Gesù di Ancona, ancora con il linguaggio tagliente del primo decennio. La folla di personaggi intorno a Gesù, che sta per essere circonciso, sono tutti i modelli della bottega romana del pittore, pellegrini, lavandaie, e barbieri. E, ora anche la figlia Artemisia, in alto, in un angolo a suonare l’organo. Un’ipotesi imbroccata, e un ritratto che troviamo forse in altri dipinti.
Tra le meraviglie e i recuperi di Gentileschi anche la grande pala con la Vergine del Rosario tra san Domenico e santa Caterina, della Pinacoteca (in origine in una chiesa di Fabriano) accostata alla Visione di santa Francesca Romana, giunta da Urbino, altro capolavoro. Due opere stilisticamente molto vicine, databili negli stessi anni, 1614/18-1620. E ancora il San Carlo Borromeo e la Crocifissione, giunti dalla cattedrale di San Venanzio, il San Francesco riceve le stimmate, dalla chiesa romana di San Silvestro in Capite. Ciascuno con la sua storia alle spalle, che ci porta a qual Gentileschi che lavora febbrilmente per superare la vergogna del processo per lo stupro della figlia, vinto solo in apparenza. Un pittore che batte ansioso gli stretti vicoli di Fabriano, molti rimasti come allora con acciottolato e ciuffi d’erba.
Ma la mostra non è finita, continua con la parata di caravaggeschi marchigiani, tutti da conoscere ed apprezzare, anche con l’aiuto del ricco catalogo (il lavoro editoriale).