Da Ventotene a Lampedusa. La fine del sogno europeo

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L’ennesima controversia mediatica legata alla vicenda della Sea Watch 3, ed alla disobbedienza civile della ormai per tutti, Capitana Carola Rackete, ha portato lo scontro ideologico sul fenomeno al calor bianco.

Le posizioni di conflitto, urlate uno addosso all’altro, di fatto nascondono una verità che così facendo viene occultata da tutti i canali della comunicazione. Una verità scomoda e per certi versi da “rimuovere” dalle coscienze dell’opinione pubblica italiana ed europea. Sembra che oggi in Europa sia in atto un esperimento antropologico, nascosto dietro il fenomeno delle migrazioni. Movimenti organizzati e finanziati con il fine ultimo di creare nel nostro continente una sorta di “meltin pot biologico”.

L’ultimo che aveva provato una cosa simile nelle sue terre, e sul nostro continente, era stato Josip Broz Tito ex presidente della Jugoslavia. Con la vagheggiata creazione dell’uomo jugoslavo. Il risultato di quel nefasto esperimento del controverso dittatore slavo fu sotto gli occhi di tutti nella mattanza balcanica di tre decenni fa.

Ogni giorno lo storytelling, come si dice oggi, vuol farci credere che si tratti di fenomeni spontanei non altrimenti i governabili. Bugie. Fole buone per gli “acchiappacitrulli” di collodiana memoria.
Che si tratti di immensi flussi umani finanziati, pensati e diretti con l’unico scopo di disintegrare quell’immenso serbatoio sociale di diritti e civiltà che oggi è la nostra Europa? Mentre le guerre, le carestie, e le speranze di una vita migliore per questo nuovo “homo migrans” non hanno nulla a che fare con le vere cause di questi flussi infiniti. E nemmeno con i naufragi e i disastri umanitari.

Si tratta di business. Si tratta di affari sulla pelle di milioni di nuovi schiavi, nuova carne da macello per il business del III millennio.
Il tutto con la  complicità, consapevole, o meno,  di politici e media che ignorano o fingono di ignorare le dimensioni del fenomeno e le sue prevedibili conseguenze.

Ma quale potrebbe essere il fine ultimo di questi spostamenti epocali? Il motivo che spinge tutta questa massa di persone, vite ed esistenze, ad avventurarsi e sfidare natura e confini, violenze di ogni genere, mercanti di carne umana, ed in ultima analisi la loro stessa vita, per accaparrarsi un futuro incerto in un altrove inesistente?

Queste domande e queste riflessioni hanno cominciato a danzarmi dentro da qualche anno senza riuscire mai a trovare un nesso, un motivo plausibile che ben si accordasse con le versioni ufficiali fornite dalla politica e dai media.
Poi un giorno, quasi per caso leggi un libro, sfogli una rivista e barlumi di verità ti aggrediscono, graffiano  il tuo pacioso vivere e con una sferzata di realismo scuotono la tua coscienza e le tue convinzioni,
E le parole di Guido Barbujani che urlano sulla pagina verità rimosse: le “razze non esistono”. Ed allora comprendi come le differenze biologiche non siano altro che colori sulla tavolozza della vita che via via sfumano in contorni sempre più tenui ed indistinguibili.
Quello che non sfuma,  quello che resiste nel cuore di questa nostra Europa è quel senso di appartenenza ferito e vilipeso che l’autore del fortunato pamphlet ed i “maitre a penser” di casa nostra non comprendono. 
E’ il senso di mortificazione e provvisorietà che bisogna sopportare ogni giorno per le strade delle nostre città, ma soprattutto delle nostre periferie.
Oramai “non luoghi sociali” dove decine o forse centinaia di uomini e donne trascinano senza meta, e senza apparente speranza, la loro sventurata esistenza; senza che la nostra supposta civiltà possa in alcun modo aiutarli a cambiarla (quella disperata esistenza). Mentre, parimenti incompresa dalla nostra  classe dirigente, che ignora o fa finta di ignorare, che è proprio sul terreno dei diritti che la popolazione europea in generale, e quella italiana in particolare sta sopportando un arretramento drammatico.

Si continua da più parti a rivendicare più diritti per tutti, più riconoscimenti per tutti,  più dignità per tutti. Ma quello su cui volutamente si tace è il senso di insicurezza che oramai attanaglia le nostre città, le nostre strade e le nostre stesse vite. E non bisogna permettere a nessuno il facile esercizio lessicale, urlando al razzismo, con il quale si svilisce la nostra aspettativa di qualità di vita. Semmai sarebbe “Culturalismo”.
Perché è bene ricordarlo: la civiltà europea e gli stessi diritti, ormai in gran parte polverizzati, sono stati il frutto di un pensiero altissimo e di battaglie civili, e di sangue versato da milioni di cittadini europei per secoli.

Valori non negoziabili per nessuno. Nemmeno nel nome della tanto supposta globalizzazione. Parola vuota e ingannevole che al suo interno ha contenuto il germe virale e distruttivo di un turbo capitalismo rapace e predatorio di questo nuovo millennio.