Antonia Pozzi, morire d’arte senza metrica né etica

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Antonia Pozzi, morire d'arte senza metrica né etica
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Antonia Pozzi si è suicidata a ventisei anni, strozzata dalla grinfia di velluto dei barbiturici. È la nostra Sylvia Plath. Scriveva: “Per troppa vita che ho nel sangue/ tremo/ nel vasto inverno”.  Ed è d’inverno che è morta, distesa sopra un prato di Milano. Dicembre 1938. Non era facile per nessuno, allora, essere innocente.

La sua scrittura è un capolavoro, come dà conto la selezione di poesie in uscita il 10 maggio per InternoPoesia, Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio (2019, 170 pagine, 10 euro). Un gioiello di parole limpide e senza tempo. Senza retorica. Senza pose: né metriche, né etiche.

Ma l’essenziale non è il fatto letterario. È la domanda che continuerà per sempre a porci la giovinezza spettrale di Antonia. Di arte si muore?

Carlo Michelstaedter, suicida a ventitré anni. E Cesare Pavese. E Primo Levi. E tutti gli altri e le altre. Marina Cvetaeva. Virginia Woolf. Anne Sexton. Amelia Rosselli. E gli altri ancora.  

Come si può passare dall’intelligenza estrema della vita al bisogno di morire?

Ogni parola di Antonia è un indizio. In una lettera del ’29 scrive: “è terribile essere donna, ed avere diciassette anni. Dentro non si ha che un pazzo desiderio di donarsi”. Ma il dono implica per forza qualcuno che lo sappia accettare. Altrimenti è ovvio che l’equilibrio venga meno.

Antonia Pozzi, morire d'arte  senza metrica né etica

Scrive ancora di “un desiderio di brace e carezze”. E, insieme, del “gran male umano”.

In trasparenza si indovina il male che le fa quell’amore contrastato con il suo professore di latino e greco. Totale in lei; tiepido e forse un po’ furbastro in lui. Un amore disapprovato dalla società. Stroncato dal padre di Antonia, borghese di nascita, censo e cuore. 

Certo che vuoi morire. Quando qualcuno ti tradisce, anche solo sottraendosi al fuoco del tuo amore. E ti abbraccia e ti sorride in un tempo già pietrificato.

Nell’aria della stanza
non te
guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà
nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora – in lontani istanti –
sul mio volto.

Certo che vuoi morire. Quando tutti ti tradiscono. Gli altri: indifferenti, indaffarati, cinici. Giustamente la curatrice del volume, Elisa Ruotolo, richiama nella sua introduzione questi versi pieni di elegante struggimento: “ed io […]/ come un cencio cinerino/ in cui la gente incespica/ ma che non val la pena di raccogliere”.

Gli altri. Il mondo. Che troppo spesso chiama morte la vita e usa il suo tempo per convincerti che vita è solo la morte.