Germano Lanzoni, Milanese Imbruttito ma non solo: “Quel cazziatone a RDS…”

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Germano Lanzoni, milanese, attore, comico, comunicatore contemporaneo, showman. E’ tutto questo e molto altro il milanese imbruttito più famoso d’Italia. Che oggi si racconta ad OFF in un’intervista in formato XXL…

Su cosa stai lavorando?

Sul processo della comicità, come sempre. Mi spiego meglio: più che su uno o più prodotti, cerco da anni di lavorare sul processo che porta alla comicità, sulla costruzione dei personaggi da un punto di vista oggettivo, professionale. Facendo tanto branded content metto al servizio di un prodotto la creatività del mio team, la mia arte, ossia la comicità, come conduttore e come personaggio, per cercare una comicità oggettiva. Tieni conto che nella Silicon Valley i comici vengono presi nei team di sviluppo per avere un punto di vista oggettivo e professionale sulla creatività. Il comico è un professionista che conosce la metrica comica, che è quasi matematica; al di là di questo, poi, c’è sempre in qualunque formula creativa quel quid, quel segreto, che la fa vincente.

Incontrandoti per strada ti si riconosce subito: ormai sei il Milanese Imbruttito…

Questo è un errore storico. Io non sono il Milanese Imbruttito, ma banalmente do la faccia al brand, che non ho fondato io e non è mio!

Sei un po’ come Sean Connery, che prestava il volto a James Bond e la gente lo identificava con il brand.

Ma tutti pensavano che lui fosse Bond in tutto e per tutto, quando invece i romanzi li scriveva Fleming. Nel mio caso, quello dell’imbruttito, io ci metto la faccia, ma ci sono tre ragazzi che nel 2013 hanno aperto la pagina a 23 anni e ci sono gli amici del Terzo Segreto di Satira che si occupano della regia. Il Milanese Imbruttito per me è comunque una sorta di punta dell’iceberg, dato che faccio lo speaker e lo stand up comedian nei circuiti più OFF della città da molto prima di comparire come volto del brand.

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Raccontaci dei tuoi luoghi OFF.

Ora come ora sono in scena tutti i martedì allo Spirit de Milan insieme ad altri quattro artisti milanesi come Folco Orselli, Walter Leonardi, Flavio Pirini e Rafael Didoni. I giovedì invece sono all’antica trattoria Arlati: locale storico che ha cominciato tanti anni fa con Lucio Battisti. Mi sono formato in questi ambienti nel periodo in cui ancora il cabaret a Milano aveva una sua dignità ed importanza. C’erano tanti locali e la gente andava a vedere il cabaret e non i cabarettisti. Lo Zelig era il punto di arrivo per gli artisti della città, ma poi, approdato in tv, la gente ha iniziato a guardarlo lì e a non andare più agli spettacoli. Io ho continuato comunque a fare cabaret nei teatri e luoghi off della città, dove continua a vivere un circuito che da risalto agli stand up comedians.

Il cabaret televisivo è così diverso da quello dal vivo?

Sicuramente risponde a leggi diverse, ovvero a quelle televisive con relativi tempi. Quella che vediamo sullo schermo è una comicità televisiva, diversa da quella dal vivo. La libertà di gioco fondamentale del live ti permette di seguire i tuoi tempi soggettivi, perché sul palco del locale posso parlare come parlo giù dal palco. Sul palco non ci sono limiti, mentre in televisione ci sono. Se devi piacere contemporaneamente ai bambini, agli adulti e devi durare tre minuti (altrimenti stanchi il pubblico da casa), cambiano le regole del gioco e, quindi, l’irriverenza (che deve essere distruttiva per poi ricostruire) non ha il suo tempo. La tv è intrattenimento, non divertimento.

Che rapporto hai con Milano e con i grandi maestri milanesi?

Quando torno a casa, in treno, in Stazione Centrale mi fermo sempre a guardare i tre maestri che ridono: Gaber, Jannacci e Fo. E’ bello pensare che proprio loro tre accolgono la gente a Milano, ridendo. Ho avuto la fortuna di vederli sul palco e di conoscere anche Jannacci personalmente. Loro sono i cosiddetti maestri senza tempo. Mi torna in mente Tognella, che ricordo fece ridere ragazzi di vent’anni pur avendone lui più di settanta. E’ una città che stimola tantissimo l’arte comica e rapportarmi con questi maestri mi mantiene coi piedi per terra.

Un altro grande maestro fu il Dogui, un grande personaggio: riusciva a contenere nella sua maschera tutti i vizi e tutte le virtù, dissacrandole.

Dissacrare, ecco la parola chiave del mio lavoro. Mi spiego meglio: nel Medioevo noi giullari di corte non venivamo nemmeno seppelliti in terre consacrate; a volte ci lasciavamo il collo, nelle esibizioni, ma il giorno di Carnevale eravamo noi al comando e potevamo finalmente dissacrare il potere. Sento questo legame con i miei lontani predecessori perché anche noi giullari contemporanei questo facciamo, ci prendiamo gioco del potere e dissacriamo…

Due parole sul Milan.

Sono 16 anni che vado in campo come speaker ufficiale del Milan: ho vissuto anni meravigliosi e vincenti, ora si è concluso un ciclo e spero se ne aprirà presto un altro. Bisogna avere pazienza e fare i conti con la realtà, la squadra col tempo emergerà con la società che ha tutti i tasselli al posto giusto.

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Per concludere, raccontaci un episodio OFF della tua carriera.

Lavoravo a RDS e avevo già alle spalle esperienze importanti. Un giorno il mio direttore artistico mi attaccò letteralmente al muro perché durante un evento mi ero permesso di fare il mio show pur essendo in quel momento al servizio di un brand. Mi spiegò che quando si lavora per qualcuno si fa lo spettacolo che si è concordato e non il proprio show personale. Questo ha arricchito tantissimo la mia professionalità e mi ha dato un nuovo punto di vista: ovvero la possibilità di “ridere con” il pubblico e non soltanto “ridere di” qualcosa o qualcuno. Anche grazie a quel cazziatone, ho cambiato il mio punto di osservazione della professione iniziando un percorso che mi ha portato ad essere quello che sono oggi: ovvero con la capacità di lavorare sull’oggettività e sul processo della comicità.