SanteVisioni. Ilaria, irradiata di vita, la vita che solo l’arte dona

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Varcando la soglia della cattedrale di San Martino a Lucca, verso la sacrestia, ho avuto una santa visione: Ilaria Del Carretto.

Ilaria morì di parto l’8 dicembre del 1405, a ventisei anni, e il monumento funebre fu commissionato da Paolo Guinigi, suo marito e signore di Lucca, allo scultore Jacopo Della Quercia. E’ bellissima, con la sua acconciatura alla moda e vestita con la pellanda raccolta nella fascia stretta sotto il seno, le maniche ampie che finiscono negli stretti polsini ed il colletto rigido, come voleva lo stile gotico francese. Il cagnolino, simbolo della fedeltà coniugale, veglia il suo sonno eterno, in un particolare commovente.

Ilaria è irradiata di vita, in uno struggente contrasto con lo stato di morte. La vita che solo l’arte dona. Il ricordo diventa immanente e non trascendente. Il destino spezza l’esistenza terrena ma la memoria è perenne come l’erba. Anno dopo anno, ogni giorno, centinaia di persone si recano da lei, la guardano in silenzio e riflettono sulla vita e sulla morte e di quanto sia meravigliosa l’arte e di quanto sia importante lasciare un segno della nostra breve transizione sulla Terra. Ilaria dormiente, secolo dopo secolo, pare che aspetti di incontrarti, in un determinato momento della tua vita.

L’arte, in tutte le sue forme, riesce a toccare le nostre corde più profonde suscitando emozioni straordinarie. Un silenzioso e profondo dialogo tra l’osservato e l’osservatore. L’emozione cattura, rapisce, e non possiamo fare altro che abbandonarci a questo incredibile avvenimento.

E quando l’arte e la leggenda si fondono, la morte fisica lascia spazio ai sentimenti di estasi, speranza e desiderio. La torre di Lucca. La torre Guinigi, in cima, in quel giardino ai confini dell’infinito, Ilaria, insieme al fedele cagnolino, aspetta il suo sposo, sospesa nel tempo. Ma io li immagino insieme, finalmente ricongiunti, sotto il grande albero della Rinascita.