Suono, silenzio e ascolto. Le tre componenti fondamentali della musica: il suono, in quanto materia sonora; il silenzio, in quanto interstizio tra i suoni (laddove non espressamente “musica” come in 4’33’’di Cage); l’ascolto, in quanto atteggiamento atto alla ricezione del suono. E sono queste stesse tre componenti a esser state scelte per il titolo del nuovo saggio di Pietro Misuraca, musicologo e ricercatore dell’Università di Palermo: Il suono, il silenzio, l’ascolto (NeoClassica, 2018, pagg. 302, euro 35). Protagonista della trattazione è, come recita il sottotitolo, «la musica di Salvatore Sciarrino dagli anni Sessanta a oggi»: oltre cinquant’anni di musica, dunque, di uno dei maggiori protagonisti della musica colta italiana del Novecento.
Sciarrino, compositore siciliano classe 1947, infatti, come scrive Misuraca in apertura, «per la novità della concezione del suono, la pioneristica attenzione alle leggi della percezione e dell’ascolto, il rilevante contributo nel campo della vocalità e del teatro musicale» rappresenta «uno dei protagonisti del panorama musicale contemporaneo».
Il saggio, nutrito e profondamente investigativo della poetica musicale sciarriniana, precisa le iniziali influenze esercitate dalle pagine di Evangelisti, Stockhausen, Bussotti, la poesia giapponese (Sciarrino definì, quella degli haiku, una lettura «decisiva»). Estraneo al rigorismo seriale e all’aleatorietà cageana, entrambe viste, come scrive Misuraca, come «spersonalizzazione del processo compositivo», il linguaggio di Sciarrino, come scrisse egli stesso, è considerato un «nuovo umanesimo in cui passato e presente possono essere guardati allo stesso modo». Nei nove capitoli, con una prosa dotta e ammaliante, Misuraca passa in rassegna l’imponente catalogo sciarriniano: dalla musica strumentale e pianistica «alla ricerca dell’evento sonoro baluginante e inaudito» alla musica vocale di un canto che «si frantuma in una scrittura la cui artificiosità è forma perfetta dell’allucinazione», dal teatro musicale alle «spericolate alchimie sonore» della produzione degli ultimi anni.
Insomma, ad uno sguardo complessivo, per usare il titolo di uno dei capitoli del volume, la musica di Sciarrino può ben dirsi una «fabbrica degli incantesimi».