L’Ordine Dei Giornalisti va riformato, non abolito

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E’ sempre sbagliato generalizzare -come si suol dire, fare di tutt’erba un fascio. L’Ordine Dei Giornalisti (ODG) è secondo alcuni (giornalisti essi stessi) un istituto inutile e dannoso, secondo altri (sempre della categoria) uno strumento di garanzia (verifica delle notizie, tutela di chi fa informazione e di chi dell’informazione usufruisce). Ma sappiamo anche che l'”azionista di maggioranza” dell’ODG è sempre stato espressione di una non-maggioranza politica (un po’ come in magistratura, dove fino a poco tempo fa e prima dell’exploit di Piercamillo Davigo alle recenti elezioni del CSM la cultura giuridica era in gran parte espressa da Magistratura Democratica, detto così brutalmente). Ma sia l’ordine giudiziario che l’ordine dei giornalisti sono strumenti di fondamentale rilevanza, appunto, democratica (quanto è stato abusato questo aggettivo!!!) ed è bene che continuino a operare. Magari con un’attitudine veramente pluralista (Emanuele Beluffi).

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Oggi il sottosegretario Vito Crimi ha ribadito la sua idea di voler abolire l’Ordine dei Giornalisti.

Mi meraviglia che un esponente del governo del cambiamento faccia propria una proposta che poteva avere un senso 20 anni fa, quando il lavoro giornalistico era ancora strutturato con un rapporto editore-lavoratore dipendente.

Mai come oggi, invece, l’Ordine (e più in generale i corpi intermedi) ha un valore essenziale in un sistema dell’informazione e della comunicazione fatto di lavoratori autonomi, free lance, precari e tante nuove figure professionali che necessitano di un inquadramento normativo, deontologico e, appunto, professionale.

Certamente ciò che occorre è un Ordine agile, al passo coi tempi, che non si arrocchi in battaglie di retroguardia, ma… attenzione a non buttare via il bambino con l’acqua sporca!

Sarebbe il caos, molto peggio di quello a cui assistiamo oggi. Al contrario – purtroppo molti, troppi giornalisti italiani lo ignorano – l’ordinamento italiano, nel campo dell’informazione, è ritenuto,  in molti paesi europei e non, un modello da studiare e, eventualmente, da imitare: oggi più che mai, in un tempo in cui la deregulation dovuta alle nuove tecnologie e la faziosità del sistema mainstream impongono forme avanzate e aggiornate di autoregolamentazione della categoria giornalistica, a salvaguardia della qualità dell’informazione, del pubblico e degli operatori.

Come spesso accade, nella tradizione, in questo caso di autogoverno dei mestieri e delle professioni tipiche dell’Italia e dell’Europa continentale, è possibile trovare le risposte più equilibrate e moderne.

Spero che maggioranza ed esecutivo sappiano valutare più attentamente la questione.

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