Artista, scultore e performer milanese, Federico Clapis deve la sua popolarità ad una singolare strategia volta a promuovere le sue opere d’arte: per cinque anni spopola su You Tube grazie al personaggio comico del Doctor Clapis, fino a quando nel 2015, all’apice del successo virale (i suoi video contano milioni di followers e visualizzazioni) e dopo un film al cinema come protagonista (Game Therapy), annuncia il suo addio alle scene dell’intrattenimento. Da quel momento si dedica totalmente alla sua vera passione, l’arte. Considerato dalla stampa come uno dei duecento giovani artisti su cui investire, ha esposto in Italia a Palazzo Montanari di Bologna con la mostra “The Crucifixion of the Artist insieme alle potenti crocifissioni su carta di Francis Bacon e a livello internazionale a Rio De Janeiro, Monaco e New York.
Lei ha iniziato su YouTube con il personaggio del Dottor Clapis. Perché ha usato la via dell’intrattenimento per passare poi all’arte?
Quando nel 2010 ho cominciato a lavorare su tela volevo che quella fosse la mia vita, ma non sapevo minimamente da dove partire. In quel periodo mi capitò di vedere i primi fenomeni web e mi appassionai anche alla video-produzione. Unendo le due cose, ho pensato di creare prima un personaggio mediatico e di diventare popolare, per poi divulgare sui social la mia arte. Così sono dovuto scendere al compromesso dell’intrattenimento. Dentro quell’intrattenimento ho cercato comunque di prendermi certe soddisfazioni a livello comunicativo, seppur celato sempre da una produzione apparentemente comico-demenziale. E poi si è sviluppato il percorso che conoscete.
Un percorso dove non saranno mancati i momenti difficili…
Ci sono state varie occasioni di Nathional GeoClapis, il mio format di intrattenimento con animali feroci in giro per il mondo. Ricordo che un bel po’ di volte ho avuto molta paura. Come quando stavo con la tigre in piscina e ad un certo punto è impazzita, o quel giorno in cui il leone mi ha messo una zampa sulla faccia. Sono stati momenti difficili.
Nel 2015 con un video ha annunciato l’abbandono dalle scene dell’intrattenimento. Come hanno reagito i suoi followers?
All’inizio è stato veramente interessante come fenomeno perché dichiarare l’uscita dall’intrattenimento per entrare nell’arte per la maggior parte dei followers ha rappresentato la mia “morte”. Non sapevano cosa avessi in mente ed è stata un’emozione sia per quelli che mi amavano che per quelli che mi odiavano. Nel tempo comunque i followers sono aumentati, comprendendo anche gli appassionati d’arte.
Qual è stata la molla che le ha fatto dire: “adesso basta”?
Ero un po’ giunto a saturazione. Quando per tanti anni fai una cosa in cui credi fino a un certo punto non puoi andare avanti a lungo. Il mio livello di resistenza era arrivato a un limite, e soprattutto avevo fatto il possibile per avere un bel seguito: venivo da un film al cinema e avevo un bacino di utenza sufficiente, ma non esageratamente pop (se fossi arrivato a una popolarità più mainstream la conversione all’arte sarebbe stata più difficile). Così appena ho sentito fosse il momento giusto, ho dato vita al cambiamento. E da lì è successo tutto.
Come è stato accolto dal mondo dell’arte?
Secondo me non esiste il mondo dell’arte. In Italia ci hanno abituato a dei micro-salotti, ma quello non è il mondo dell’arte. Non contano nulla. Ho fatto a Palazzo Montanari di Bologna la mostra The Crucifixion of the Artist al centro della sala principale e attorniata dalle potenti crocifissioni su carta di Francis Bacon, ma in realtà sono indipendente da quello che è il meccanismo italiano. Sto lavorando tanto all’estero: in giugno farò una cosa importante in una delle principali piazze di Londra, una gigante statua in bronzo. A Rio De Janeiro ho fatto una installazione per la celebre favela City of God, ho esposto a Monaco di Baviera e ho realizzato una micro-installazione a New York. Diciamo che non riesco a definire il mondo dell’arte con la stessa certezza di chi lo definisce andando agli happening.
Ha definito però la condizione umana, con Actor on Canvas…
Già da tempo lavoravo con soggetti in resina prestampati. Poi il desiderio della loro personalizzazione, unito al fatto che avessi scoperto la tecnologia della scansione laser del corpo, ha creato un fil-rouge automatico con quello che era il mio lavoro precedente, ossia l’ attore. Vengo “scansionato” da un laser che immortala la mia posa e poi stampo con macchinari particolari. Così “entro” nella tela a interpretare certe condizioni umane: cercano di essere neutrali, ma mi riguardano inevitabilmente.
Quindi c’è sempre una parte di lei nelle sue opere…
Sì, c’è una parte di me che ogni volta che va su tela si esorcizza. Io all’inizio quando è nato Actor on Canvas cercavo di dargli un certo distacco. Poi mi sono accorto del suo aspetto terapeutico: tutto quello che veniva fuori sulla tela era una parte di me che non avevo mai preso in considerazione, una parte spesso buia che emergeva sulla tela fino a dissolversi. Per me Actor on Canvas per quanto cerchi di dargli una distanza è un continuo specchio.
Negli Actor on Canvas torna spesso anche un tema che riguarda la società, quello dell’“ignorare”. Qual è l’aspetto della vita che più ignoriamo?
Noi ignoriamo di tutto. In primis quello che ignoriamo sono le nostre reali emozioni e quelli che sono i reali motivi dei nostri comportamenti. In media si tende ad ignorare l’introspezione. mentre l’ignorare che si vede nei miei quadri è più iconico dei tempi contemporanei, come l’uomo al cellulare che ignora la natura, che ignora il mondo. Un mondo che avrebbe bisogno di non essere ignorato per andare avanti, almeno per qualche centinaio di anni. E non che scompaia a breve come potrebbe essere preannunciabile.
Lei ha già esposto in varie città del mondo. Tra le tante, quale delle sue opere ha suscitato maggiori reazioni?
In questo momento il mio soggetto più forte è una scultura in bronzo (adesso mi sto dedicando quasi esclusivamente alla scultura in bronzo e in resina) che si chiama Connection. Si tratta di una donna incinta che porta in grembo un bambino già al cellulare. È un’immagine abbastanza iconico di questi tempi e sarà una delle opere che porterò a Londra.
La creazione è un altro argomento che ha affrontato più volte…
Ne sono sempre stato molto affascinato…Quando facevo i video su YouTube avevo una rubrica un po’ più seria che si chiamava #senzamaschere in cui affrontavo il tema del parto e di tutto quello che succedeva in fase prenatale. In particolare notai quanto questo evento fosse determinante nella nostra vita. Ci sono cose che inevitabilmente influiscono su di noi, anche se non ce ne rendiamo conto. Nel momento in cui siamo nella pancia di nostra madre assorbiamo tutto quello che succede intorno a noi, sia di positivo che di traumatico. Questa riflessione mi ha fatto capire molte cose di me, del mio modo di essere.
Per l’arte si è addirittura crocifisso. C’è stata qualche polemica?
Ma no, è stata un’opera che abbiamo esposto a palazzo Montanari insieme alle crocifissioni su carta di Francis Bacon, a Bologna nel 2015. Diciamo che non è più l’epoca dello sconvolgimento, e non era un’opera che voleva sconvolgere. E’ chiaro che quando giochi con i simbolismi religiosi sei sempre un po’ più esposto. Tuttavia ero cosciente del fatto che questo simbolismo religioso fosse super-inflazionato, quindi non pensavo di suscitare chissà cosa. Mi piaceva di più il concetto di far capire la crocifissione di ogni artista che c’è dietro la tela. Infatti quello crocifisso sono io su un telaio fatto a croce, quindi giocavo molto di più su un aspetto concettuale che provocatorio.
In quest’ottica della crocifissione, quali difficoltà incontra un’artista?
Il mondo degli artisti in generale è un mondo che tende a vedere il mondo come nemico, e da un punto di vista empatico li posso anche capire. Poi il salto lo fai quando riesci a raggirare questo problema. Altrimenti vai avanti a lamentarti tutta la vita, così come fa buona parte degli artisti incompresi.
Lei è riuscito a raggirare il problema grazie al mondo del web. Questa realtà come ha modificato il nostro rapporto con l’arte?
Parecchio. Come tutti gli altri settori all’interno del quale il web è entrato prepotentemente, ci son stati grandi cambiamenti anche nella fruizione delle opere d’arte. E’ chiaro che il tutto deve essere accompagnato da un aspetto reale.
Oggi un artista fa la sua opera, la mette online, e se ha una buona attitudine strategica, o anche solo comunicativa, è indipendente, sia dal punto di vista dell’esposizione dell’opera che del commercio. In questo modo si genera un mercato di collezionisti, sia appassionati di arte che neofiti, che compra direttamente dall’artista.
In futuro, cosa le piacerebbe realizzare?
Attualmente sto realizzando una nuova tecnologia di ologrammi insieme ad alcuni ingegneri di New York per mezzo della quale comporre buona parte dei miei futuri quadri, che proietteranno realtà tridimensionali. Sono molto eccitato per questo progetto.