“Tutto sta in quell’istante sospeso, in cui si consuma l’arte del sentire”. Proprio auscultando il suo cuore, Antonio Sergi, giovane scrittore nonché giornalista calabrese, sente il battito accelerarsi e il petto gonfiarsi di emozioni che racchiude in La passione pazza del Diavolo (Comet Editor, 125 pp., 10 euro).
Un intimo taccuino in cui si susseguono armoniosamente riflessioni di varia misura e ispirazione, una mistura di pensieri, flussi di incoscienza che compongono il puzzle della vita.
Con l’accuratezza di uno specialista dell’anima e il pathos di un uomo del Sud, Sergi scandaglia il proprio io sino ad aprire i cassetti più intimi. Da qui sgorgano quotidianità e ricordi che si incontrano con gioie e patimenti protraendosi all’unisono verso un’eterna preghiera rivolta all’Eterno.
Così, dismessi i panni del professionista che racconta la cronaca, lo scrittore mostra le sue fragilità coprendosi meramente con le pagine della sua opera intrise di baci rubati, odori dell’infanzia, sorrisi a mezza bocca, sguardi come fondamento della presenza dell’assenza.
Concede un canto celebrativo dell’amore universale: dal trasporto per la sacralità del mare a quello per la propria amara terra, per l’adorata madre, “donna saracena con rughe che si fanno strada sulla pelle liscia e olivastra”.
La routine diventa magia e incanta con la bellezza della semplicità: inseguendo ogni istante della sua esistenza, piacevole o dolente che sia, Sergi lo analizza fino ad estrapolarne l’essenza più intima per poi sublimarla in elementi preziosi per l’esplorazione della dimensione spiritualistica umana.
In un’eterna contesa tra la confessione di passioni, peccati, tormenti e la ricerca spasmodica dell’amore, come afferma Pietrangelo Buttafuoco, che ha curato la postfazione con altri colleghi estimatori come Bruno Giurato, Fulvio Abbate e Antonella Grippo, “La passione pazza del Diavolo è l’ordinario quando trova un approdo, lo straordinario”.
Ed è proprio trasmigrando qui che i lettori, dopo aver intrapreso un viaggio emozionale su vagoni catartici, scostano la benda dell’indifferenza e si ritrovano esterrefatti dinanzi ad una bellezza mai colta. Sussultano incantati dallo spettacolo del creato, dal fascino vivido di sentimenti evanescenti che impongono la propria presenza, rammentando che “l’emozione più grande per l’essere umano è il ricordo, in cui si schiude il dolore pazzo del futuro”.