Mettersi alla prova significa in qualche modo mettere alla prova anche altre persone. Quelle che ci vedono in vesti nuove, che pensavano non ci potevano appartenere e che invece, stupite, si rendono conto che ci calzano a pennello. Così Fiammetta Cicogna ha fatto, portando al teatro Gerolamo di Milano, grazie alla neonata casa di produzione MaWhy da lei fondata, lo spettacolo Clodia. Con la sponsorizzazione di Tiffany, Lampoon e Samsung, è stata messa in scena la storia di una donna, Clodia appunto, che si muove tra i sentimenti provati nei confronti del suo Catullo e i desideri di rivalsa all’interno di una società in cui è poco accettata, strizzando l’occhio al mondo contemporaneo.
Da dov’è partita questa idea di portare a teatro un tema così complesso?
Sono sempre stata appassionata alle storie vere, a quelle quasi marginali all’interno di un mondo che vive sostanzialmente di altro. Mi son sempre aggrappata a questa marginalità, e soprattutto Catullo non l’ho mai studiato realmente come volevo io. Sai, ci sono finali importanti anche in testi semplici, lineari, e le diramazioni son sempre diverse l’una dall’altra; questa ad esempio è la storia di uno splendido amore imperfetto, che se fosse stato perfetto non ci avrebbe mai lasciato un personaggio come Catullo. L’amore è dolore, ed è nel momento in cui sacrifichi qualcosa che lo riconosci. Lei ha sacrificato se stessa, lei voleva cambiare Roma.
E che sensazioni ha provato nell’interpretare un personaggio con così tante sfaccettature?
É stato estremamente difficile, ma sicuramente devo ringraziare il regista Michael Rodgers; lui mi ha cambiata, facendo uscire la naturalezza all’interno dell’interpretazione, facendoti però entrare appieno nella storia. E lavorare oltretutto con un attore straordinario come Lorenzo Cervasio è stato fantastico, probabilmente il vero lavoro l’ha dovuto fare lui, chiudendosi sostanzialmente, in quanto Catullo vive solo dell’amore per Clodia, che al contrario di lui è costruita e cerca ci uscire da quella che è sostanzialmente la scatola del pregiudizio da cui viene osservata.
Il vero ringraziamento però devo farlo nei confronti di tutte le sofferenze d’amore che ho vissuto, senza le quali non sarei mai riuscita a raccontarne le delusioni. Alla fine l’amore è sempre contemporaneo.
Contemporaneità estremamente presente all’interno del suo spettacolo. Una sfida anche per portare i giovani a teatro e renderli anche più partecipi?
Sì, questo sì. Sono convinta che ci sia la possibilità di far vivere il palco in un altro modo. Innanzitutto ogni spettacolo durerà sempre meno di un’ora; spettacoli troppo lunghi rischiano di deconcentrare le persone, portandole quasi alla noia. Noi invece vogliamo essere più immediati, andare subito al punto, facendo provare immediatamente le sensazioni che alla fine proviamo anche noi interpretando questi personaggi. Poi è fondamentale un fattore estetico, le scene devono essere belle agli occhi delle persone, e in questo è stato pazzesco Andrea Incontri, che è riuscito a rendere il costume un terzo carattere all’interno dello spettacolo.
E da dov’è iniziata questa sua passione? Qual è stato quello che può considerare un momento Off della sua vita?
Da sempre, il teatro e la recitazione son da sempre il mio amore più grande, la mia passione. Di delusioni ne ho avute, e non poche, e forse la prima fu quando da ragazza, andando ad un casting, mi chiesero di cantare e ballare. Ero imbarazzatissima, e lì avevo capito che forse non era ancora il mio momento, avevo ancora tanto su cui lavorare. Ho avuto pazienza, era solo l’inizio.