Come onde di notte sulla spiaggia. In ricordo dell’ “oro”di Mango

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Tre anni fa, in questi freddi giorni dicembrini, ci lasciava Mango. Sul palco, mentre eseguiva uno dei suoi più grandi successi (“Oro”). Disse una volta che, se avesse potuto scegliere, sarebbe voluto morire sul palco. Incredibile, il destino. La nostra Antonella Grippo lo ricorda così (Redazione).

Mango-live-2La baia di Sapri è un luogo dello spirito. Irriverente dei confini di spazio e tempo. Palude d’imperdonabile bellezza.

Forse perché ci bastava arrivare fin qui, come onde di notte sulla spiaggia“, le stesse onde che consistono di sonorità migrate dai fondali di un’anima in falsetto. Mare di ogni dove e non più mio per tua dislocante poetica. Brezza scandita come danza da mani che accarezzano il pianoforte della vecchia casa di salsedine. La longilinea e bionda adolescenza di mia sorella, in luogo di musa ispiratrice, trattiene tremori ed innocenze di un amore non detto. Nonna Ernestina scioglie lacrime di marmo dentro la tua musica, e torna al suo vestito di chiffon ed al suo vezzo antico di ragazza, viaggiando lungo rughe in controcanto. “Amore che non dai più sogni, amore che non dai“. E torna l’uncinetto quieto.

La baia dista qualche miglio da Lagonegro, che capovolge d’un tratto geografie dal corpo di scogliera. Il giardino dei Mango, perimetro d’arte e di effluvi meridiani, è latitudine di sigarette abbreviate dalla nostra ingordigia giovanile, di caffè che propiziano insonnie discusse e vissute senza tregua. Portaceneri sovraffollati da millimetri di fumo agonizzanti, ma non ancora spenti, osservano il transito di parole in ingorgo. Pronunciate in rapidissima sequenza. Si parla del mondo, del manufatto di un sogno, del fragore eversivo dell’Amore e della Musica. A Sud, più a sud del dorso occidentale di una stella. E noi, sospesi tra flutti che indiziano il navigare di Ulisse ed il mistero accovacciato sul fondo degli occhi di Monnalisa. Proprio lì originano le canzoni. Armando fuma più di tutti e cerca soluzioni mai scontate: scova sedimenti di memoria e scintille di sapienza, in complicità con il fratello Pino che è talento ipnotico. Claudia diffida del suo essere splendida. Per questo veste organza e specchi d’aria. Antonella canta con voce roca le impazienze della sua generazione. Non dice di futuri giornalismi. Mamma Filomena Mango, avvolta in uno scialle che ne tutela le malinconìe, sorveglia i ragazzi che, intanto, espongono il loro volti al vento del disgelo. Come Nietzsche. Non si tratta di liberarsi dal dionisiaco, ma di liberare il dionisiaco. La vita grondante dolori, spasmi, gioia. Sentimento. L’Arte dischiude, così, l’adesione al mondo.

Poi, all’alba, si torna a casa. Verso Sapri. Antonella e Claudia in macchina, sulla strada le cui curve disvelano con snervante parsimonia la feroce, irrisolta bellezza del loro mare, suonano pensieri d’arpa e violoncello. Al bivio, nostro padre. Al bivio del suo letto d’ospedale. Ci chiede degli amici artisti, è curioso. Vuole conoscerli. Uno dei suoi ultimi viaggi lo farà proprio alla volta di Lagonegro. A sorreggere il suo passo incerto, un bastone. Di lì a poco, partirà per una destinazione sconosciuta. Lo stesso territorio silente in cui è approdato Pino, a bordo di una canzone interrotta. Una regione senza sole o lune gravide di luce planante. “Privilegio dei morti: quello di non più morire“.

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