Vincenzo, ci racconti un episodio OFF degli inizi della tua carriera?
Ricordo con particolare simpatia l’incontro con Eduardo De Filippo, l’incontro più bello della mia vita. Un attore della sua compagnia, Sergio Solli, mi accompagnò a Cinecittà e mi presentò Eduardo che stava cercando comparse per le registrazioni delle sue commedie. Solli gli disse “Diretto’, stu guaglione vorrebbe fare una comparsa”. Eduardo mi guardò, e gli fui subito simpatico, forse perché ero particolarmente magro e sciupato. E disse “Facciamogli dire qualche battuta, così prende la paga di attore”. Infatti guadagnai bene, e finalmente, secondo lui, mi rimisi in sesto. (ride, n.d.r.) Poi mi provinò per la commedia successiva, ed entrai nella sua compagnia. Quella fu la mia svolta. Ero iscritto all’università, ma feci solo tre esami perché nonostante mi piacesse studiare iniziai le tournée con Eduardo e fui costretto a lasciare.
Cosa ha significato per te lavorare con un grande del teatro mondiale come Eduardo?
A diciannove anni hai una percezione diversa. Per me era come essere in famiglia, sentivo affetto. Fu un anno irripetibile, una luna di miele. Capivo che stavo vivendo il più grande uomo di teatro del mondo. Laurence Olivier volle conoscerlo e lo portò in Inghilterra, le sue commedie erano recitate in Russia… Mi ricordo per esempio che Ingrid Bergman venne al Quirino di Roma a vederlo. Massimo Troisi nel 1981 al Teatro Tenda per conoscerlo.
Un aneddoto particolare del vostro rapporto? Ti dava consigli?
Eduardo era un regista talmente grande e semplice da dire poche cose. Bastava solo che facesse sentire come dire una battuta per farti capire immediatamente il personaggio. Per esempio, nell’atto unico Gennariniello io ero un ingegnere stralunato. Beh, per spiegarmi il ruolo Eduardo fece solo riferimento al personaggio che Andy Luotto interpretava accanto ad Arbore nel programma L’altra domenica, e mi disse “O’ tenit’ presente chillo scemo arret’ ad Arbore? Quello è il personaggio”. E io capii. Fu un successo, ricordo il debutto a Firenze. Avevo vent’anni, ero giovanissimo.
Poi nel 1990 sei diventato capocomico…
Nel 1990 misi in piedi una compagnia con mia moglie Valeria, la Chi è di scena. Ma in realtà già nel 1986 io e Gianfelice Imparato portammo in scena due spettacoli scritti da noi. Nella mia compagnia sono passati poi Carlo Buccirosso, Nando Paone, Maurizio Casagrande, Daniele Marazita, Gigi Savoia. Daniela ha scritto un libro bellissimo Hai appena applaudito un criminale, è bellissimo. È un libro “povero”, non sto facendo pubblicità occulta. (ride n.d.r.)
Qual è il segreto per far ridere?
Non c’è un segreto. C’è bisogno di scuola, tecnica, esperienza. Ma sono due le cose, o fai ridere o non fai ridere. Io, per esempio, quand’ero ragazzo qualsiasi cosa dicessi facevo ridere. Adesso per fortuna riesco ad essere ascoltato anche quando dico cose serie.
Di donne quante ne hai fatte ridere?
Parecchie, io le colpisco soprattutto per la mia simpatia. Poi sì, per fortuna qualcuna si è innamorata, ma risulto soprattutto simpatico.
Sulla home page del tuo sito c’è scritto “non si può amare per essere felici, ma bisogna essere felici per poter amare”.
La nostra è una società che non ti insegna ad amare, siamo tutti spaventati, rinchiusi in noi stessi, nel nostro egoismo. Noi amiamo per bisogno. Ma il bisogno non è amore, è dipendenza. Noi più che darne chiediamo amore per essere felici. Ma non si può amare per essere felici. Bisogna prima essere felici, e poi amare.
La politica italiana fa ridere?
Purtroppo chi non ha un lavoro, chi deve portare avanti una famiglia, chi vorrebbe il rispetto della giustizia, della sicurezza per strada, chi soffre, no, non può ridere della politica, ma arrabbiarsi. La politica è bella, nobile. Solo chi è più intelligente di me e di te può governarci, non chi lo è meno. La politica deve essere fatta da uomini intelligenti che si vogliono bene. Poi si, si può ridere e scherzare sulla politica, ma non adesso. Ora le cose continuano ad andare male. Ognuno di noi deve rimboccarsi le mani, fare i conti con la propria coscienza e dare il buon esempio, perché solo se ci sarà un buon popolo ci saranno anche dei buoni politici.