Michele Guardì racconta la sua Sicilia

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Michele GuardìMichele Guardì rappresenta un pezzo importante ed autorevole non soltanto della storia della nostra televisione, ma anche della cultura della nostra società, raccontando da ormai trent’anni quell’animo popolare e colto del nostro paese. Diceva mio padre (per oltre vent’anni direttore di settimanali e quotidiani nazionali): «ci vuole cultura per fare un giornale popolare». Oggi Guardi’ ci racconta la sua Sicilia degli anni ’60, non attraverso il tubo catodico ma con un suo romanzo, “Fimminiedda” edito da Sperling e Kupfer.

Cosa significa raccontare la tua Sicilia?

Significa non far perdere memoria di come siamo stati.Nel bene e nel male.

Di cosa parla?

E’ la storia di una bellissima ragazza siciliana di diciannove anni denunciata dal marito per “abbandono del tetto coniugale”. E che l’avvocato difende attaccando.Esibisce un certificato medico che attesta   che la ragazza,dopo cinque anni di convivenza è ancora “vergine”. E invoca una sentenza della Cassazione che condanna ad un anno di carcere un marito che,come il protagonista della nostra storia, si era sottratto agli obblighi di “assistenza coniugale” previsti dall’articolo 570 del Codice Penale. In quegli anni la Cassazione inseriva tra quegli “obblighi” anche il rapporto fisico. Che nel caso dei nostri protagonisti non c’era stato perché, appunto, la ragazza era ancora vergine. Ma il povero marito cerca di svicolare…si dispera…Beh, non voglio svelare tutto…

E’ una vera e propria commedia dell’animo umano?

Una storia con tutti i colori e i sapori di un mondo che sembra inventato. Invece…

E’ una storia vera?

Si. Una storia della quale sono venuto a conoscenza quando facevo l’avvocato di  pretura e mi fu chiesto di fare da pubblico ministero. All’epoca, nelle piccole preture, i pubblici ministero erano i segretari comunali o gli avvocati che si prestavano a ricoprire il ruolo a titolo gratuito. Io mi prestai. Quella  storia  dipinge uno spaccato di Sicilia a cui sono rimasto legato. E nella quale ognuno recita una parte rappresentativa delle paure e degli ardori di quella società.

E’ cambiata la Sicilia di allora da oggi?

Sicuramente. Come, peraltro, è cambiato il mondo. Una sola citazione: nel mio libro ricordo che alla fine della guerra il Sicilia, i “Separatisti”, si volevano staccare dall’Italia. Con quello che sta succedendo nel mondo, in Spagna…Avevano anticipato qualcosa?

Una similitudine tra la tua tv ed il romanzo?

Da giovane volevo fare una televisione che raccontasse le storie delle persone. Tanti anni dopo incontrai Giampaolo Sodano direttore di Raidue  che mi chiese un programma per il mezzogiorno: gli proposi i “I fatti vostri”. Pensai ad un programma di una stagione. Giampaolo mi incoraggiò. Mi disse che era un programma che sarebbe durato dieci anni.  Era il dicembre del  millenovecentonovanta.  Il programma esiste ancora dopo 27 anni.

Un episodio off?

Un episodio che vivo con mortificazione. Ero ragazzino. Sapevo di un contabile che viveva malissimo il  problema dell’età. Assieme ad altri due ragazzini,pensai di divertirmi gridandogli dietro: “vecchio vecchio”. Ricordo ancora con vergogna la faccia di quell’uomo, che rigirandosi, a bassa voce e con tristezza, ci spiegò la vita: “Un giorno lo sarete anche voi”.