“E la sera cenai uno pesce d’uovo”: vita d’ogni dì del Pontormo

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 Cinquecento a Firenze, Palazzo Strozzi, Diario di Jacopo PontormoNel bookshop della mostra sul Cinquecento a Firenze in corso a Palazzo Strozzi spicca un piccolo libro. È il Diario di Jacopo Pontormo, grande artista del Cinquecento, che ha lasciato ai posteri una testimonianza eccezionale. Una serie di note quasi quotidiane nei suoi ultimi due anni di vita, 1554-1556, sul suo stato di salute, su ciò che mangia, dipinge, chi incontra. Un diario, incominciato “domenica 7 gennaio 1554“, scritto in un toscano schietto e incisivo, di indiscusso fascino. Un documento intimo, segreto e prezioso, da cui emerge un uomo scorbutico, lunatico, lamentoso, ma lucido, che cura l’orto, fa il bucato e disegna in giardino. E soprattutto ha molti amici accademici, tra cui Bronzino, Varchi, Martini, con cui la sera legge e discute Petrarca e Dante.

Sull’interpretazione del testo si sono accapigliati storici antichi e contemporanei. Per i detrattori il diario conferma la maniacalità del pittore. Per analisti più saggi e illuminati indica attenzione verso regole di vita e norme igieniche tipiche del tempo. Il pittore si trovava infatti ad affrontare, anziano, grosse fatiche come la pittura di un ciclo di affreschi, dalla complessa iconografia, nella chiesa fiorentina di San Lorenzo. Ingabbiato sui ponteggi in un ambiente freddo e umido, doveva riguardarsi nella salute e segnarsi ogni sintomo di malessere. Ogni figura affrescata veniva poi quotidianamente annotata nel diario.

Così domenica 7 gennaio Pontormo scrive di essere caduto, aver battuto spalla e braccio rimasti doloranti sino a carnevale, 6 febbraio. Ricorda di aver mangiato dall’amico Bronzino, che gli preparava manicaretti più ricchi e gustosi. Lui, povero e disordinato, a casa sua si accontentava di brodo di castrone, ma dall’amico poteva cibarsi di pesce, crespelle, carni più raffinate.

 Scriveva il 30 gennaio 1554: “adì 30 gennaio cominciai quelle rene di quella figura che piagne quello bambino” e “giovedì quel braccio e la sera cenai uno pesce d’uovo” schizzandole particolari e figure accanto come promemoria. Il famoso “pesce d’uovo” pontormesco, che non si può dimenticare ogni volta che ci si fa una frittata, era appunto un uovo fritto avvoltolato su se stesso a forma di pesce. Uno dei suoi cibi usuali.

Il libriccino, che trascrive il testo di Pontormo in bella e maneggevole edizione (Mandragora, euro 11,90) appare curato. Deriva da una rielaborazione della tesi di laurea in Linguistica italiana discussa a Firenze nel 2006-2007 da Sara Fanucci. Ed è corredata da un glossario per capire i termini usati dall’artista.