Il centravanti è un dio pagano dalle mille forme. Può essere vero, finto, forte di testa, bravo tecnicamente o coraggioso. L’unica cosa che conta è il gol. Che sia una conseguenza come per Ronaldo o un’ossessione come per Inzaghi poco importa. È a lui che vanno tutte le preghiere dei tifosi, soprattutto nei momenti difficili.
Il 21 giugno del 1987 la preghiera di tutti è: «Aiutace Giulia’». Giuliano Fiorini è un centravanti atipico, un uomo raro. Andatura caracollante, capelli folti e scompigliati. La faccia di uno che a trent’anni ne ha già cinquanta. Una vita assaporata sigaretta dopo sigaretta e vissuta bicchiere dopo bicchiere. Fiorini non si tira indietro, alle preghiere risponde con un sorriso e un cenno della mano.
All’Olimpico si è presentato un popolo, generazioni di laziali accorsi a difendere una storia. Padri e figli abbracciati, sguardi tesi, cuori che battono e voci che urlano: “So già du ore…”. I biancocelesti hanno bisogno di una vittoria per sperare di non retrocedere in C. Una retrocessione che sarebbe una sentenza: fallimento. Quando sei sul baratro devi fare una scelta, mollare o resistere. I laziali hanno scelto: combattere. Non saranno mai più così tanti, nemmeno nei giorni delle grandi vittorie.
La partita è un assedio. Il Vicenza chiede un punto per salvarsi, si chiude attorno al protagonista più improbabile. Ennio Dal Bianco di mestiere secondo portiere che quel pomeriggio non fa passare nemmeno i pensieri. Il primo tempo vola via tra una bestemmia e una parata. Il caldo incatena i muscoli. A metà ripresa i veneti restano in dieci. Ormai l’area di rigore è un fortino di 500 tifosi e un portiere, ma regge. La Lazio risorta da -9 non ce la fa.
Il popolo urla incitamenti e sussurra preghiere: «Aiutace Giulia’». Fiorini ha i calzettoni abbassati, non ne ha più. Gli restano la voglia di non mollare e un cuore immenso. Minuto ottantadue. Cross dalla sinistra, respinge come può la difesa. Esposito controlla palla e la gira a Podavini sull’ala destra.
Non è un tiro, non è un cross, è una supplica lenta e senza forza. Il dio pagano l’accoglie col destro, si gira e con la punta del piede anticipa il difensore e batte Dal Bianco. È un urlo che non si può descrivere, c’è dentro tutto. Gioia, rabbia, disperazione, vita. Giuliano corre incontro al suo popolo che è diventato marea incontrollabile e fa l’unica cosa che gli resta da fare: piange.
È andato via giovane Giuliano ma ancora oggi nei momenti difficili qualcuno stringe l’aquila sul petto e sussurra: «Aiutace Giulia’».