Menna: “Napoli una città di grandi mescolanze; è difficile distinguere il bene dal male”

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1208641_origIl venditore ambulante entra in Via Speranzella, nel cuore dei Quartieri spagnoli, alle 8 del mattino. I vicoli ancora inanimati e lui, dal sedile dell’Apecar, inizia a strillare “Cozze, cozze fresche”. Nessuno dalle porte e dalle finestre dei bassi si affaccia, lui si incazza e fa una cazziata a tutto il quartiere. Grida ancora più forte: “Ma come? Dormite ancora? La notte che fate?”

Niente anche stamattina non si dorme. Tony Perduto si sveglia, mette sul il caffè e si ripromette di non compare nulla da quel grandissimo rompipalle. Ormai è un rito, ogni mattina questo arriva e parte il teatrino. Il giorno prima Tony ha fatto tardissimo per consegnare un pezzo al giornale e sperava di dormire almeno fino a mezzogiorno. Invece niente. Tanto vale rimettersi all’opera.

Decide quindi di andare in prefettura e in caserma, ricomincia con il giro di nera. Il maresciallo Pallone lo vede entrare in caserma e capisce che la sua giornata si sta per complicare. Tony Perduto è un bravo ragazzo, ma fa troppe domande.  Una vera e propria spina nel fianco.

Che poi uno un giornalista di nera a Napoli lo immagina come un tipo duro, sgamato, non certo come un ragazzo timido che non riesce a farsi avanti con la ragazza dei suoi sogni. Ed è pure occhialuto, secondo me.

Impacciato, solitario e forse un po’ bruttino. Un tipo. Tony Perduto è un ragazzo dei Quartieri spagnoli, ma ne sembra essere estraneo. È uno che vive nel cuore della città partenopea, nel centro delle duecento chiese e dei due decumani – superiore ed inferiore. Per quelle strade che salgono agli onori delle cronache per gli omicidi o come palcoscenico dell’evento mondano dell’anno. Come quando le modelle di Dolce e Gabbana hanno invaso le strade di San Gregorio Armeno.

Intorno a Tony si muovono queste mille storie con le loro altrettante contraddizioni e personaggi chiassosi che lui indaga e racconta, ma a cui non somiglia.

È un napoletano atipico il suo protagonista o siamo troppo legati agli stereotipi?

“No, effettivamente Tony Perduto non sembra napoletano. È silenzioso ed introverso. E tuttavia è napoletano e forse anche più di altri. Lo è profondamente, come lo erano Raffaele Viviani ed Eduardo De Filippo. Lo è come lo erano e sono tanti napoletani: né ridanciani, né furbi, legalitari e che hanno fatto della loro austerità un tratto della loro napoletanità. Riccardo Muti li chiama i napoletani teutonici”.

Antonio Menna è un giornalista di cronaca nera a Napoli; è lui che ha inventato Tony. Un ragazzo dei Quartieri spagnoli che li racconta ogni giorno sui quotidiani e che li trasporta con sé in ogni racconto ed in ogni viaggio.

Napoli non riesce a lasciarsela alle spalle…

“Temo di esserci dentro. Combatto sempre con questo desiderio di staccarmi da un luogo che si ripete. E poi invece ambiento i miei racconti qui perché è il luogo che conosco meglio. Allora mi riprometto di lasciarla sullo sfondo, di usarla solo come fotografia. E invece la città entra prepotente. È un po’ una maledizione”.

Perché?

“Napoli te la porti addosso perché ha una modo di essere che non è ripetibile. Napoli è una città che si tiene in equilibrio come un miracolo. Ognuno lavora per sé, però questo individualismo estremo riesce a trovare miracolosamente una combinazione collettiva. L’incrocio di mille individualismi tiene in piedi questo luogo. Anche dal punto di vista dell’organizzazione dell’ordine è così. Ed è irritante per chi ci vive, è una città molto faticosa. È un mix di libertà e prigionia. Sei prigioniero degli altri e al contempo libero di fare quello che ti pare. Devi incrociare continuamente queste due tensioni. Non c’è un’altra città così. E inevitabilmente sei estasiato dall’ordine, dal rigore, dal rispetto, dalla mancanza di rumori che puoi trovare in altri luoghi, ma poi dal 3° giorno ti inizia a mancare il caos”.

È una città però dalle profonde contraddizioni

“Di solito quando si parla di Napoli si descrivono molto alcuni quartieri, le periferie, l’illegalità diffusa, però quello è solo un aspetto. Napoli ha dentro di sé tanti timbri e per fortuna ha anche tanti autori. È una città orchestra, in cui ognuno suona il suo strumento e la musica che ne esce a volte è armonica e a volte no”.

Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss nei Quartieri spagnoli (ed.il-mistero-dellorso-marsicano-ucciso-come-i Guanda) è ambientato nei Quartieri spagnoli. È quello il lato oscuro della città partenopea?

“Secondo me, Napoli è una città di grandi mescolanze, in cui non è facile setacciare e separare il male dal bene. Istintivamente potrei dire che il lato oscuro siano le piazze di spaccio di alcuni quartieri della periferia. Certamente lì c’è degrado. Però chi investe su quelle piazze in realtà vive a Posillipo; chi ricicla i denari dei clan vive al Vomero ed esercita una professione illustre. Credo sia molto complicato sperare il bene e il male a Napoli. Si mescolano molto. Addirittura a volte nelle stesse persone ci possono essere zone di luce e ombre”.

Allora perché scegli il centro storico?

“Perché è uno dei luoghi simbolici di ciò che è la mia città. Io vivo nei Quartieri spagnoli sempre con l’ambizione che i Quartieri decidano di aderire alla Repubblica italiana, di rispettarne la Costituzione e i codici. Vivo costantemente questa contraddizione. E questa è una delle molte facce che vanno raccontate tutte per riuscire a raccontare Napoli. I Quartieri Spagnoli sono un pezzo di periferia nel cuore della città. Questa è una caratteristica delle città che hanno un porto. In questi luoghi si costruiscono insediamenti popolari, poi l’urbanizzazione trasforma quei quartieri in zone centralissime. Di base però restano dei nuclei molto popolari caratterizzati da una commistione di ceti”.

Quindi?

“Nei Quartieri spagnoli succede che nello stesso palazzo abitino al pian terreno un uomo agli arresti domiciliari e al primo piano il giudice che lo ha condannato. Allo stesso tempo i Quartieri spagnoli sono a 100 mt dal municipio e dalla prefettura, sono a ridosso del lungomare. Insomma a due passi dalle zone della Napoli da cartolina. In quell’intreccio di vicoli, di bassi, di case popolari c’è un’umanità che magari in altre città europee è stata marginalizzata e trasferita in periferia, mentre a Napoli è ancora in possesso del cuore della città”.

La periferia vera di Napoli invece com’è?

“Il centro storico, anche quando è molto popolare, conserva la capacità di sorprenderti con un palazzo del 600, con una chiesa che, anche se tenuta male, conserva una sua bellezza nascosta. Le periferie invece sono un modello di degrado urbano senza continuità, cioè tu le attraversi e lì hai la sensazione della dimenticanza. Hai l’impressione che in quei luoghi qualcuno si sia dimenticato che anche quella è Napoli. Accade a Scampia, Chiaiano, San Giovanni a Peduccio, Barra, Soccavo, rione Traiano… potrei farti un elenco di 20 quartieri così di Napoli. Spesso si pensa che la città sia il lungomare, Posillipo, un po’ di quartieri popolari, in realtà l’80% di Napoli è nella corona periferica ed è in quartieri senza identità, senza storia, purtroppo senza economia, con una presenza delle istituzioni occasionale e quindi con un contesto urbano affidato solo alla buona volontà delle persone.

napoli_quartierispagnoliQuanto c’è di vero in quello che la cronaca riporta?

“Tutto quello che raccontano, quello che coincide con lo stereotipo e il folclore, è vero.  Credo che una parte della narrazione quotidiana, molto colorata ed eccessiva, contenga degli elementi di verità. Però quella non è tutta la verità. Cioè c’è una verità che va cercata anche dietro le cose. Quindi il napoletano allegro, simpatico, furbo, che viola un po’ le regole esiste. Dietro quel volto c’è da scavare nelle storie, nelle vite delle persone, nei luoghi che queste vivono.  Nell’ Mistero dell’Orso marsicano ucciso come un boss ai Quartieri spagnoli (ed. Guanda, ndr) ho messo insieme il vicolo – quindi il colore, il sole, il casino – con un racconto più interno. Non a caso la storia ci porta nella Napoli sotterranea, dove io colloco un po’ la vita interiore napoletana. È in quella serie di cunicoli neri che sta la Napoli delle ombre, quella che non sorride”.

Si percepisce quasi un misto di romanticismo e illegalità…

“La cronaca ci consegna gli episodi per quello che sono, li incasella uno dietro l’altro. Un romanzo prova a mettersi nelle emozioni dei personaggi. Le persone sono sempre un mondo e l’anarchia di Napoli è romantica. Con questo però non voglio assolvere gli eccessi, perché l’anarchia è un problema. Io vivo nei Quartieri spagnoli sempre con l’ambizione che i Quartieri decidano di aderire alla Repubblica italiana, di rispettarne la Costituzione e i codici. Vivo costantemente questa contraddizione. Non mi gratifico dell’illegalità, penso sia un guaio. Però so che c’è dentro una complessità. Io racconto persone che commettono reati, ma provo anche a dire che dietro queste scelte ci sono delle esistenze e che anche queste comunità possiedono degli spiriti di contraddizione”.